A Romano, una rocca di confine che confini più non ha

Nella Bergamasca sorge la fortezza viscontea che fu presidio della zona franca che divideva la Serenissima da Milano
Rocca Viscontea di Romano di Lombardia - Foto Lombardia Beni Culturali
Rocca Viscontea di Romano di Lombardia - Foto Lombardia Beni Culturali
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Anche questa rubrica partecipa con un apporto specifico all’anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023, e lo fa attraversando l’Oglio per «spedire» ai lettori bresciani qualche cartolina anche dalla terra orobica. Inespugnabile: così dovevano vederla i nemici quando si avvicinavano alle sue mura turrite. Così era - ed è - la Rocca Viscontea di Romano di Lombardia, cittadina fondata nel 1171 nella Bergamasca.

Poiché il borgo più antico si trovava tra le terre di Cremona e Bergamo e i vescovi delle rispettive città continuavano a litigarselo, si decise di spostarlo. Però la situazione non cambiò: rimase terra di confine, poiché il vicino Fosso Bergamasco nel 1428 diventò il confine di Stato tra Venezia e Milano. Il fatto di essere zona franca in cui non si pagavano le tasse (ora non è più così) permise al villaggio di prosperare, ma la particolare posizione lo costrinse ad arroccarsi. La forma stessa del paese, uno scudo allungato, richiama il concetto di difesa. Il cuore di tale borgo fortificato, protetto da due cinte murarie alte cinque metri, era questo edificio militare, in seguito ingentilito ma mai snaturato.

All'interno

Entrare nella Rocca Viscontea non era facile, anzi. Basta appunto guardare le quattro poderose torri, collegate tra loro da camminamenti. C’è anche un’antica spartana toilette, utile ai soldati durante i lunghi turni di guardia. Passaggi e cunicoli segreti disseminati nella struttura fornivano, in caso di necessità, una via di fuga. Prima del portale d’ingresso, oggi preceduto da un ottocentesco ponte in muratura, c’era un ponte levatoio; intorno un fossato, alimentato da una risorgiva interna e pertanto non prosciugabile.

Oltrepassato l’ingresso, a sinistra è la porta della prigione d’emergenza. Non è l’unico luogo di detenzione, poiché a destra, nel cortile della Cancelleria Veneta, sorgeva un altro carcere, dove peraltro il Colleoni rinchiudeva nemici e spie. Il castello era inoltre dotato di alloggiamenti per le truppe e depositi di munizioni e viveri per resistere a lunghi assedi.

All’interno ci sono due corti, un tempo collegate e ora separate da un muro. Quella principale, abbellita ai tempi del grande Bartolomeo che visse qui per un periodo con la famiglia, ha finestre trilobate di gusto rinascimentale e un grande affresco del leone di San Marco, la cui testa si alza ancora fiera. I merli, o meglio ciò che di essi rimane, sono a coda di rondine, cioè ghibellini. Questo nel Trecento, all’epoca di Bernabò Visconti, fan dell’imperatore. A seconda delle epoche i merli furono più o meno guelfizzati e anche eliminati.

Più di ottocento anni di eserciti e ora dove c’era il fossato c’è un parco pubblico e dove c’era il salone di rappresentanza c’è il Museo della Memoria. Le celle della gattabuia, finita l’ultima guerra durante la quale sono state purtroppo utilizzate, sono ancora lì ma dopo averle visitate si esce. Dall’alto di questa imponente struttura, dove un tempo si aggiravano i soldati di ronda, è dato vedere, aldilà di un orizzonte senza confini e senza nemici in arrivo, ciò che di più bello esiste: la libertà.

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