A Bienno, dove tutto si muove e rinasce grazie all'acqua

Il canale artificiale che per anni ha alimentato l'attività delle fucine e oggi produce elettricità in modo ecosostenibile
La ruota di un mulino a Biennio, borgo dove le fucine hanno tradizioni millenarie - © www.giornaledibrescia.it
La ruota di un mulino a Biennio, borgo dove le fucine hanno tradizioni millenarie - © www.giornaledibrescia.it
AA

Bienno: gioiello camuno che insegna a osservare con occhi nuovi qualcosa che lasciamo scorrere ogni giorno attraverso la nostra esistenza come se fosse trasparente (e lo è), senza comprenderne appieno il valore e il significato. In questo borgo riscopriamo l’acqua e la vediamo scorrere in quel capolavoro d’ingegneria che è il Vaso Re, costruito dai benedettini prima dell’anno Mille in larice e castagno, ed ora diventato in cemento armato.

Non è solo un canale che attraversa il paese: è un monumento al lavoro, giacché la sua presenza, nel corso dei secoli, ha portato benessere attraverso l’attività delle fucine (nel Seicento se ne contavano più di sessanta) edificate lungo il suo corso, in parte sopraelevato e in parte interrato. L’acqua scendeva potente e faceva girare le ruote che davano potenza ai magli. Le fontane disposte lungo il corso (ai piedi di alcune sono stati ricavati inserti di cristallo dai quali si vede l’acqua del canale), spiegate una a una all’interno di un percorso che le collega, mostrano come il Vaso Re fosse in simbiosi con il paese stesso. Anche il nome è suggestivo: è un vaso, contenitore prezioso per una sostanza preziosa, ma re, il primo di tutti per importanza.

Serviva per fare tutto: bere, lavarsi, fare il pane, per produrre oggetti in ferro e in acciaio da esportare. I padèlér di Bienno per un millennio hanno spedito oggetti in tutta Italia e anche all’estero (in Spagna ad esempio). Non si facevano solo padelle, ma anche attrezzi agricoli e armi. Fino al Seicento a Bienno si lavorava per la Serenissima, che aveva signoria su queste terre ed esonerava dal servizio militare i fabbri e i loro figli.

La fucina museo

Pian piano le attività sono state chiuse, ma basta entrare nella fucina museo (due strutture distinte ora unite) per fare un salto indietro di quattrocento anni. Un’ampia sala dall’alto soffitto, annerita dal fumo. Attrezzi e armi e pentolame tutto in giro, e Doris, ragazzo di Vicenza che, innamoratosi di questo luogo, lo tiene vivo e aperto e ci lavora come fabbro seguendo metodi antichi. E ama il rumore del maglio.

La fucina è una poesia, anzi un poema. Un poema con la musica, quella del maglio, dell’acqua del Vaso Re che scorre forte, e delle rotelle di metallo, che Doris crea per un artista, le quali, colpite con un bastone di legno, emettono un suono che somiglia a quello di una campana tibetana. È il suono della passione per ciò che si fa, dell’amore per la civiltà ma anche per la natura (il Vaso Re ora produce elettricità in modo eco-sostenibile). È il suono del passato che dà consigli sul futuro. È il suono della rinascita attraverso l’elemento da cui tutti arriviamo e a cui tutti apparteniamo: l’acqua.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia