Violenza e reato d'onore, Pinky: «Spezzare il circolo vizioso»

Casa delle donne ha organizzato il convegno «Antropologia dei reati d’onore nel terzo millennio»
UNA RETE PER SALVARE VITE
AA

Matrimoni forzati, riduzione in schiavitù fino ai cosiddetti reati d’onore. Una realtà purtroppo ben presente anche in Italia, anche a Brescia. I drammatici casi di Hina, Sana, Pinky sono davanti agli occhi e nelle menti di tutte a ricordarci come per cambiare mentalità a persone che si portano dietro retaggi millenari ci vorrà tempo e impegno, ma non è impossibile.

A Pinky è successo, a lei e alla sua famiglia. «È assurdo pensare che ancora oggi, anche nel mondo occidentale - sottolinea la donna che ora lavora come impiegata in Confagricoltura e si sente realizzata - io sia guardata male da una certa parte della mia comunità perché vivo da sola e da sola cresco i miei figli. Dobbiamo spezzare questo circolo vizioso, ogni donna deve poter decidere della propria vita».

Di reati d’onore, matrimoni forzati e riduzione in schiavitù si è parlato nel convegno, organizzato dal Centro antiviolenza Casa delle donne di Brescia, «Antropologia dei reati d’onore nel terzo millennio. Fare rete per salvare vite».

Dopo l’omicidio di Sana, anche la comunità pakistana di Brescia ha espresso la propria condanna, eppure ancora troppo spesso a poter parlare pubblicamente sono solo gli uomini e non le donne. «Si tratta di un costume che accomuna molti Paesi dove ci sono comunità indiane e pakistane - commenta Nazir Afzal, ex Chief prosecutor in casi di sfruttamento sessuale, crimini d’onore e matrimoni forzati -. In Gran Bretagna se sono invitato a incontri pubblici non vado se sono presenti solo uomini. Lo dico chiaramente alla comunità, se mi volete come relatore, se volete parlarmi in sala ci devono essere anche delle donne. È così che si cambiano i loro comportamenti, cambiando il nostro modi di rapportarci con loro».

Altra considerazione che ha a che fare, poi, con lo svolgimento dei processi, in particolar modo quelli di rito abbreviato, è la concessione delle attenuanti generiche in modo sistematico. «Penso che per i crimini di femminicidio le attenuanti possano essere concesse solo in caso di un pentimento sincero e non manipolatorio - dice a questo proposito Fabio Roia, presidente di Sezione del Tribunale di Milano - o di fronte a un effettivo risarcimento del danno. Altre situazioni devono essere attentamente valutate di volta in volta dal giudice».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia