Un nuovo pitocco di Ceruti alla Pinacoteca Tosio Martinengo

Sguardo dimesso e abito di stracci, magistralmente delineati dal pennello di Giacomo Ceruti. Un nuovo pitocco viene ad abitare da martedì la sala della pinacoteca Tosio Martinengo dedicata alla pittura pauperista. L’opera, «Pitocco seduto», databile attorno al 1730-35, viene data in deposito per cinque anni da un privato, e torna visibile al pubblico dopo quasi 70 anni dall’ultima uscita: venne esposta infatti alla mostra milanese del1953 sui «Pittori della realtà in Lombardia» curata da Roberto Longhi, e prima ancora nel 1935 nell’esposizione dedicata in città alla «Pittura a Brescia nel Seicento e Settecento» a cura di Emma Calabi, dove l’opera risulta di proprietà dei conti Seccamani.
Polvere e stracci
Pittura «di polvere e stracci», definì Longhi l’opera del Ceruti, e certamente questo dipinto è tra i pezzi più rappresentativi della poetica pauperista del Pitocchetto. Pienamente settecentesco nella pennellata fluida, quasi impressionista, e nell’effetto cipria della stesura, Ceruti vira gli azzurri, i verdi, i rosa pastello dei veneziani in cromie grigie e terrose, quasi impastando sulla tavolozza la polvere stessa di cui sono impregnati gli abiti rappezzati dei suoi personaggi. Il pitocco è messo in posa, immobile, concentrato in sé stesso; nulla a che vedere con i pupazzi grotteschi sorpresi in attività quotidiane raffigurati nei «dipinti di genere» tanto in voga tra Sei e Settecento. A fare da cuscino sopra il sasso squadrato, un sacco o forse un pellicciotto; in mano un fagotto, forse un involto o un cappello, indistinguibile. La figura rilevata nei dettagli dell’abito e del volto dalla luce radente, risalta in contrasto sullo sfondo del bosco appena accennato; all’orizzonte un paese affacciato su un corso d’acqua, evanescente nella pittura a monocromo.
Clima bresciano
Nella sala della Tosio Martinengo, il pitocco troverà altri protagonisti di quella pittura pauperista tipicamente del Ceruti e tipicamente bresciana: l’«Incontro nel bosco», la «Filatrice», i «Due pitocchi», la «Scuola di ragazze», i «Calzolai», il «Portarolo», la «Lavandaia», alcuni dei quali appartenenti al cosiddetto «ciclo di Padernello», ovvero quel gruppo di dipinti acquisiti dalla famiglia Salvadego all’asta del 1882 che disperse la collezione Fenaroli-Avogadro, e collocato nel castello di Padernello nella Bassa. Un nucleo compatto, così come compatto era il nucleo dei Ceruti Fenaroli-Avogadro (ancora di controversa identificazione da parte della critica) caratterizzato da una fortissima inclinazione etica nella raffigurazione degli ultimi: non più bozzetti da irridere come simboli di una depravazione fisica e morale, come avveniva in tanta pittura di genere precedente, ma individui carichi di una propria dignità, portatori di valori riconosciuti dalla stessa classe nobile che commissionò le opere.
Una sensibilità tutta bresciana, accolta da Ceruti negli anni in cui il pittore milanese operò nella nostra città, tra il 1720 e il 1734 circa, prima di fuggire, inseguito dai creditori per una speculazione finanziaria finita male, per spostarsi in Veneto, poi a Piacenza e infine di nuovo a Milano dove era nato nel 1698 e morì nel 1767.
La mostra
Il «Pitocco seduto», assieme alla «Lavandaia» che nel frattempo sarà tornata in città, sarà esposto nella mostra «Stracci e seta. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento» a cura di Francesco Frangi, Alessandro Morandotti, Roberta D’Adda, che sarà allestita in Santa Giulia dal 14 febbraio al 28 maggio 2023. L’esposizione, che approfondirà gli anni bresciani dell’artista (1720-34), il soggiorno veneto (1735-38) e infine la maturità, farà poi tappa al Getty Museum di Los Angeles, come parte di un progetto sul rapporto tra arte e povertà.
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