«Un bivacco aperto a tutti, come avrebbe voluto papà»

Il ricordo di Enrico Fasciolo nel recupero di una baita in Val Codera: «Porte aperte, così ci ha sempre insegnato»
La struttura diroccata a 1.950 metri di quota diventerà  bivacco - © www.giornaledibrescia.it
La struttura diroccata a 1.950 metri di quota diventerà bivacco - © www.giornaledibrescia.it
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Accoglienza ed ospitalità, in maniera semplice e senza chiedere nulla in cambio. Come si faceva a casa con papà Enrico, quando il sabato si apriva la porta ad un ospite e si faceva posto alla tavola del pranzo. Ora Enrico Fasciolo - padre di famiglia, capo scout, ingegnere in A2a - non c’è più, tragicamente scomparso nel 2017, a soli 55 anni, per un incidente stradale mentre sul suo scooter si recava al lavoro. Ma la sua famiglia, i figli Michele, Pietro ed Enrico con la mamma Luisa Restivo, le sorelle Federica e Silvia, hanno scelto di ricordarlo con il progetto di un bivacco in montagna, in val Codera in provincia di Sondrio.

 

Enrico Fasciolo ha lasciato un segno nella comunità scout - © www.giornaledibrescia.it
Enrico Fasciolo ha lasciato un segno nella comunità scout - © www.giornaledibrescia.it

Il progetto

Una baita sarà ristrutturata grazie alla collaborazione con la Fondazione Baden di Milano e l’associazione Cantieri d’alta quota di Biella, e sarà aperta a chiunque passerà su quelle montagne. Agli scout, di cui Enrico aveva fatto parte in gioventù nel gruppo Brescia 1 dei padri della Pace, e poi come capo ed educatore; e a tutti coloro che amano e frequentano la montagna, come faceva Enrico, assieme alla famiglia e agli amici del coro le Rocce Roche con cui condivideva la passione per il canto e per le vette.

«L’idea di ricordare Enrico è nata nel 2018, ad un anno dalla sua scomparsa - racconta la sorella Federica -. Ci siamo interrogati su cosa fare perché la sua memoria restasse anche alle generazioni future, avevamo pensato ad una borsa di studio, al sostegno ad una missione, ma ci sembravano cose poco tangibili. Poi è arrivata l’ipotesi del bivacco, un luogo d’accoglienza, un "nido" semplice a disposizione di chi è in cammino». Un luogo in cui incrociare storie e condividere esperienze senza chiedere nulla in cambio, come Enrico aveva insegnato a fare; e nel segno della sostenibilità ambientale.

Il percorso è stato lungo, e il progetto è ancora in embrione, ma è avviato. «Fondamentale l’incontro con la fondazione Baden - spiega ancora Federica - che opera in val Codera dove durante il fascismo gli scout messi fuorilegge trovarono accoglienza tra la popolazione, e il gruppo delle Aquile Randagie però a favore di chi espatriava clandestinamente in Svizzera. Con l’aiuto della notaia Alessandra Casini, la nostra famiglia ha fatto una donazione alla Fondazione, che ha acquistato una baita diroccata risalente al 1820, collocata a quota 1.950 metri all’Alpe Averta. Sul rudere i Cantieri d’alta quota stanno sviluppando un progetto di sistemazione sostenibile, che di certo sarebbe piaciuto a Enrico».

Si è in attesa di tutti i permessi, e i lavori potrebbero partire la prossima estate, per concludersi in un paio d’anni. Sarà un bivacco minimale, pochi metri quadri ma dotato di bagno e cinque posti letto.

Lo spirito

«Questo bivacco rappresenta pienamente lo spirito di papà Enrico: semplicità e accoglienza - commenta il figlio Pietro, 28 anni, volontario in Kenya con un programma umanitario dell’Unione europea, che si fa portavoce del pensiero di tutta la famiglia -. Una passeggiata in montagna con gli amici in una giornata di sole, papà non chiedeva di più per essere felice. Ogni sabato a pranzo c’era un invitato a cui un posto a tavola non veniva mai negato. Non ha mai voluto separarsi dal mondo scout anche quando lavoro e famiglia gli impiegavano la quasi totalità del tempo. Ha sempre frequentato l’ambiente ed è rimasto coinvolto fino alla fine in iniziative del mondo scautistico. Questo bivacco vuole dare una continuità allo spirito del papà che, attraverso una casa, possa continuare a dare accoglienza a gruppi scout e camminatori».

«Vogliamo che sia una casa aperta - gli fa eco il fratello maggiore Michele, 30 anni, ingegnere in A2a come il padre -. Come ci ha insegnato papà, l’aspetto della condivisione delle esperienze è fondamentale, il bivacco nella sua essenzialità può essere un luogo intimo di relazione personale». E di riscoperta «dell’amicizia, dei legami forti, della possibilità di vivere lontano dalla frenesia quotidiana - conclude Francesco, il fratello più giovane, musicista e produttore musicale -. Confidiamo che attraverso il bivacco continuino a vivere lo spirito e i valori trasmessi da papà».

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