Tutti i sapori del pane (quando non è sordo)

Non c’è nulla di più quotidiano del pane. El pa. Cibo ma non solo, nutrimento ma molto di più.
Sarà per questo che nel nostro dialetto, da sempre, el pa ha mille sapori (spesso simbolici) diversi. Partiamo dal ground zero, dal pane senz’altro, che i bresciani chiamano con affetto pa sùrt. Sordo, forse per dire che non «sente» di niente perché rimasto senza companatico alcuno.
Tra mille variazioni, el pa può poi essere staladés (cioè ormai passato, non più fragrante, proprio come con franco realismo contadino a volte si parla senza vergogna di certe pöte staladése) e a quel punto una possibilità di offrirgli nuova vita è ripassarlo nel forno della stufa a legna. Farlo diventare, cioè, pa biscòt (cotto due volte).
Se si ha fortuna, il pane può essere accompagnato: pa e salam, pa e fic, pa e nus (recita la saggezza che «pa e nus l’è un mangià de spus» e subito la controsaggezza replica che «nus e pa l’è un mangià de ca»). Sapore metaforico il pane lo assume se cotto con acini d’uva (suona affettuosamente minaccioso chi dice «t’el dó mé el pa co l’ùa» proprio come direbbe «t’el dó mé el tabàc del móro», te lo do io quel che ti meriti).
Affettuosa era senza dubbio anche la nonna del nostro lettore Piero de Bedisöle che, lui bambino, gli offriva ridendo pa e colpi, pane e botte. Siamo certi che non ha mai dato seguito all’annuncio. Ma il boccone più amaro resta quello di chi, voltandosi indietro per giudicare i propri passi, si accorge di aver compiuto qualche scelta sbagliata, qualche clamorosa stupidaggine. E a questo punto del suo cammino altro non gli resta se non mangià el pa pintìt.
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