Tra non vaccinati e contagiati all’appello mancano 500 insegnanti

Sarà un rientro complicato, alla ripresa delle lezioni dopo le vacanze natalizie. Tra domani e lunedì torneranno sui banchi di scuola 150mila alunni degli istituti bresciani di ogni ordine e grado, al netto di quarantene, isolamenti e contagi in ascesa con la variante Omicron.
Il problema, però, è che all’appello mancheranno anche centinaia di insegnanti, e sostituirli sarà un’impresa tutt’altro che facile. Si parla di 3-4mila docenti nei 1.100 istituti della Lombardia e, in proporzione, di almeno 500 (sono circa 15mila in totale nell’organico provinciale) nelle 150 scuole bresciane. Ci sono coloro che dovranno essere sospesi perché non hanno voluto vaccinarsi, pur con l’introduzione dell’obbligo dal 15 dicembre. Non solo docenti no-vax, tuttavia; anche tanti che non potranno presentarsi perché positivi al Covid.
Indicativamente ci potrebbero essere anche tre-quattro persone assenti per istituto, fra personale docente e non.
Qualche soluzione nell’immediato bisognerà trovarla. Utilizzando il cosiddetto «personale Covid» (rifinanziato fino al 31 marzo), organizzando turni a rotazione e rivedendo se necessario gli orari. «Gli strumenti - conferma il dirigente dell’Ust, Giuseppe Bonelli - sono questi. Teniamo poi conto della condizione del nostro territorio, molto vasto ed eterogeneo, dove si è sempre fatta fatica a trovare certi profili per determinate materie, come il sostegno e le discipline scientifiche».
«Ci risulta - commenta Gregorio Musumeci della Gilda degli insegnanti - sia rimasto uno “zoccolo duro” del 3-4% di insegnanti che non hanno adempiuto all’obbligo vaccinale e dovranno essere sospesi. Per il resto non sappiamo, al momento, quanti saranno in malattia. Reperire supplenti è difficoltoso e ci sono classi di concorso dove la carenza era già evidente prima del Covid. Poi, ammesso di trovarlo, si deve fare al supplente un contratto di 15 giorni in 15 giorni, in quanto il titolare di cattedra potrebbe avere un ripensamento e rientrare. Si dovrà, alla fine, fare ricorso alle Mad, elenchi delle “messe a disposizione” che hanno i dirigenti, e qualcuno ipotizza già di chiamare studenti universitari dell’ultimo anno».
In uno scenario del genere non è escluso che si ripresenti lo spauracchio della Dad (didattica a distanza). Fortemente contraria la Gilda: «Spero che a nessun preside - sottolinea Musumeci - venga in mente di fare una scelta del genere, deleteria per la didattica e per i ragazzi. Piuttosto bisogna lavorare sulla responsabilità individuale: tutti devono fare la propria parte nel rispettare le regole, anche i genitori devono capire di non mandare a scuola il ragazzo se non sta proprio bene e bisogna riprendere con lo screening agli studenti».
Riferisce Luisa Treccani, segretaria Cisl Scuola: «Abbiamo ricevuto parecchie telefonate di presidi e colleghi delle Rsu: effettivamente le assenze sono parecchie; ci è stato segnalato un plesso del primo ciclo con addirittura il 60% di personale a casa. Trovare i supplenti è problema maggiore in alcuni ordini di scuola, come la primaria; in alternativa si deve convocare il Consiglio di istituto e ridurre l’orario per un periodo. Sono in affanno anche le segreterie e gli ausiliari, la cui mole di lavoro è diventata enorme».
Concordi i sindacati sul fatto che l’attuale contingenza è frutto di una visione «miope» della politica e dei governi. Lo sottolinea Antonella Poli, segretaria Flc Cgil: «L’abbiamo visto anche nell’incontro di martedì col ministro Bianchi. Noi l’abbiamo detto in mille modi: siamo per una didattica in presenza, purché però non vada a ledere la sicurezza dei lavoratori e degli stessi alunni. Non si è fatto nulla di quello che si sarebbe dovuto in due anni: non si è intervenuti sui trasporti; non sugli spazi, anzi si è tolto pure il metro di distanza. Eppure il tempo c’era, e i soldi anche. Purtroppo sarà un rientro "malato"».
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