Stamina 2, non fu truffa: «La terapia aveva basi scientifiche»
Nessun dubbio sul fatto che i farmaci somministrati fossero imperfetti, anche perché mai autorizzati in Italia. Ma per il tribunale di Brescia la cura ribattezzata Stamina 2 non fu una truffa nei confronti di chi aveva accettato di sperimentare la somministrazione di esosomi di cellule staminali per provare a ritardare gli effetti di malattie neurodegenerative gravissime.
Il caso
«L’istruttoria dibattimentale ha escluso ogni prospettazione miracolosa» ha scritto il presidente del collegio giudicante Luca Tringali nelle 247 pagine di motivazioni della sentenza del processo di primo grado che all’antivigilia di Natale si era chiuso con un’assoluzione e sei condanne.
Solo per somministrazione illecita a pazienti, adulti e bambini, di medicinali imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, ma non appunto per truffa aggravata come invece avrebbe voluto la pubblica accusa. I coinvolti, secondo le indagini, si erano mossi prima «presentandosi come Fondazione amici di Raoul, ente che non è nemmeno mai stato costituito, e poi attraverso la predisposizione del sito web Epha Foundation».
Non fu truffa
Una vicenda che si è consumata tra Brescia e la Svizzera, dove aveva sede il laboratorio in cui venivano confezionate le terapie. «Le pattuazioni contrattuali sottoscritte a partire da luglio 2014 e fino a luglio 2015 contengono indicazioni estremamente caute circa l’efficacia dei trattamenti proposti. E ciò - si legge nelle motivazioni - sia in ordine alla possibilità di impiego delle cellule staminali nel caso singolo sia, soprattutto, in ordine alle prospettive di successo in concreto del trattamento, invero esplicitamente non garantite».
Il tribunale ha spiegato inoltre che «nessuna garanzia di efficacia e neppure di piena sicurezza potesse seriamente essere offerta dal trattamento che seppur fondato su studi preliminari incoraggianti era palesemente attuato con modalità nuove, tali da escludere anche solo l’equivoco che potesse trattarsi di una terapia già sperimentata con successo sull’uomo».
Il giudice di primo grado ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione a delinquere con «gli imputati che hanno condiviso un progetto delittuoso ampiamente esondante dalla commissione degli specifici reati di somministrazione di farmaci imperfetti in concreto realizzati, in quanto volto a reiterare senza orizzonti temporali la somministrazione illecita della terapia con esosomi».
Ma il tribunale ha sottolineato che non fu una truffa. «Non può ritenersi processualmente e sufficientemente dimostrata la radicale inconsistenza della terapia proposta nonostante la stessa si ponesse al di fuori dei protocolli ufficiali. Era un trattamento che, quantunque mai sperimentato sull’uomo e quantunque altamente aleatorio, si fondava su acquisizioni scientifiche che avevano, già all’epoca dei fatti, evidenziato le proprietà protettive ed antinfiammatorie degli esosomi e la loro capacità di oltrepassare la barriera emato-encefalica e di raggiungere il cervello» scrive il giudice.
«Quantomeno finchè presentata come un mero tentativo, non privo di qualche potenziale utilità, ma dall’esito incerto e solo eventuale, non costituisce di per sé una truffa». In aula l'accusa aveva sostenuto che ai malati veniva in concreto iniettato un preparato nella sostanza assimilabile a soluzione fisiologica, ossia acqua o poco più. Ma il giudice spiega: «É una conclusione che riposa su basi fragili e malferme, non potendosi escludere, che il contenuto dei campioni sottoposti ad analisi si sia degradato a causa della non corretta temperatura di conservazione».
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