Si erano fatti consegnare denaro, immobili e auto: 5 condannati

Si è concluso con condanne ridimensionate il processo a carico di cinque dei 60 imputati nell'indagine della Direzione distrettuale antimafia
Il tribunale di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
Il tribunale di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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C’è l’usura, ci sono le estorsioni, ma non c’è il metodo mafioso. Si conclude con condanne ridimensionate, almeno rispetto alle richieste della Procura, il processo a carico di cinque dei sessanta imputati raggiunti dall’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Brescia «Atto Finale» che hanno scelto di farsi processare a dibattimento, davanti ai giudici Marco Vommaro, Luigi Andrea Patroni Griffi e Luca Angioi.

La condanna più pesante è toccata a Raffaele Maffettone. Il 60enne originario di Napoli, ma di casa a Bedizzole, è stato condannato a 8 anni e 6 mesi e a 9mila euro di multa. A suo figlio, il 31enne Leonardo Maria, è andata decisamente meglio (3 anni e 7mila euro), mentre a sette anni, sei mesi e 7.500 euro, è stato condannato Francesco Scullino, 57enne di Oppido Mamertina e residente a Desenzano. Tre anni e 5 mesi di carcere invece sono stati inflitti a Rocco Zerbonia, 51enne di origini calabresi di casa a Cazzago San Martino. 

Le accuse

I quattro erano accusati di usura per essersi fatti promettere dalla loro vittima interessi fuori legge a garanzia di un prestito di 194mila euro, concesso tra il gennaio e il febbraio di tre anni fa. In particolare per i pm Roberta Panico, Erica Battaglia e Carlotta Bernardini, i quattro si erano fatti garantire 15mila euro ogni 10 del mese per dieci mesi; la concessione di un preliminare di vendita di un immobile nel Milanese e il noleggio a titolo gratuito di cinque auto.

Per sdebitarsi, secondo quanto ricostruito dalla procura, la vittima cedette una Mercedes Classe A del valore di 35mila euro ad una società riferibile a Maffettone padre. Sempre a lui, e a Francesco Scullino, in cinque mesi inoltre versò poco meno di 80mila euro, e concesse in uso gratuito ai Maffettone, ma anche a Rocco Zerbonia, auto di valore: una Volkswagen Passat, una Mercedes E400; una Maserati Gran Cabrio e una McLaren 570S.

I Maffettone e Scullino erano accusati anche di estorsione. Avevano minacciato la vittima già usurata di mettere all’incasso 7 assegni nel caso in cui questa si fosse rifiutata di firmare un atto di riconoscimento del debito di 340mila euro. Tanto l’usura, quanto l’estorsione per i pm erano aggravate dal metodo mafioso: al loro debitore i quattro avevano detto che l’operazione era stata supervisionata da Vincenzo Facchineri, dell’omonima famiglia calabrese della ’ndrangheta, ma si erano anche rivolti a lei con il classico repertorio mafioso. Avevano bollato l’imprenditore cui avevano prestato denaro come infame collaboratore di giustizia e l’avevano minacciato di riferire tutto a Facchineri qualora non avesse adempiuto ai suoi doveri. 

Il quinto imputato condannato ieri è Vincenzo Caia. Il 74enne siracusano, residente in città, era accusato di un’estorsione semplice, in particolare di aver colpito e minacciato il suo debitore per incassare interessi usurai.

Perché a loro avviso non sussista l’aggravante mafiosa i giudici lo scriveranno nelle motivazioni della sentenza per le quali si sono presi 75 giorni e con la quale hanno ordinato agli imputati il pagamento di 100mila euro a titolo di risarcimento provvisorio e inoltre disposto la confisca di denaro o beni per 77.450 euro.

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