Si barrica in casa con il figlio, il negoziatore dell'Arma: «Così lo abbiamo convinto»
Racconta che prima del caso di Roncadelle aveva affrontato solo un’altra situazione simile. «Trattative ne ho fatte nella mia carriera, ma così complessa solo un’altra volta. Eravamo nel Piacentino con un uomo che si era barricato in un ufficio pubblico minacciando di darsi fuoco» dice il luogotenente dei carabinieri Mirko Gatti. È il negoziatore che per 16 ore ha gestito il rapporto con il 34enne che si è chiuso in casa con il figlio di quattro anni.
Come è stato l’approccio con questa persona?
«Si capiva subito che era un padre che voleva bene a suo figlio e quindi abbiamo preso questa strada per trovare una breccia e poi piano piano, ore dopo ore, abbiamo creato un contatto fino ad arrivare a parlarci con videochiamate. Abbiamo fatto leva sul fatto che lui al figlio voleva molto bene».
Voi fuori e pronti a fare irruzione in casa. Lui dentro con un bambino. Come sono stati i contatti?
«Abbiamo usato diversi metodi. Prima attraverso il telefono perché volevamo evitare che l’affollamento di militari fuori dalla porta di casa producesse un effetto contrario ai nostri interessi. Quindi abbiamo parlato al telefono dalle 18 di mercoledì fino alle tre di notte. Poi ci siamo concessi e abbiamo concesso a lui un attimo di tranquillità. Al mattino di giovedì abbiamo ripreso il dialogo con alcuni messaggi WhatsApp, poi delle telefonate e delle videochiamate e alla fine sulla porta lo abbiamo convinto ad aprirci».
Il 34enne chiedeva qualche cosa in particolare?
«Solo di stare con suo figlio. Il suo unico scopo era di tenere il bambino con lui».
Gli avete raccontato la verità su quelle che sarebbero state le conseguenze penali per lui una volta fuori dall’abitazione?
«Nelle negoziazioni dobbiamo sempre dire la verità, non possiamo essere in scacco di qualcuno. Quello che diciamo al nostro interlocutore deve essere verità, deve corrispondere per forza perché è un attimo trovarsi in una condizione sbagliata. Gli abbiamo detto cosa rischiava. A lungo gli abbiamo fatto comprendere quello che sarebbe potuto succedere. Lui capiva, ma la sensazione è che volesse far passare il tempo per stare più possibile con il suo bambino. E lo ha tenuto fino a quando ha potuto».

C’è stato un momento in cui avete temuto che la situazione degenerasse?
«C’è sempre stato un po’ di timore. Che è aumentato quando abbiamo deciso di fare buio, nel senso quando gli abbiamo concesso di riposare e quindi non avremmo più avuto modo di sentire il bambino oltre che lui. Abbiamo interrotto la negoziazione per tre ore nella notte tra mercoledì e giovedì. Un tempo che gli abbiamo dato anche per farlo un po’ rilassare. Da quel momento abbiamo avuto il pensiero che potesse succedere qualcosa».
Poi al mattino di giovedì il dialogo è ripreso.
«Prima con alcuni messaggi su WhatsApp e poi quando ha accettato una videochiamata con la quale ci ha fatto vedere il bambino. A quel punto abbiamo capito che la strada intrapresa era giusta».

Come vi ha spiegato quello che stava facendo?
«Ha detto che lo ha fatto perché la sua situazione familiare era tesa. Voleva vedere il bambino non solo nella casa protetta, ma con più libertà. Voleva portare il figlio a mangiare un gelato, andare al parco con lui. Le limitazioni invece lo hanno segnato e mercoledì ha fatto il gesto clamoroso».
Il bambino come era durante la lunga trattativa?
«Era tranquillo. Cercavamo di sentire la sua voce per capire come stava vivendo la situazione. Guardava la televisione, aveva mangiato e parlava con il padre. È sempre stato sereno».
Al telefono cosa via ha detto?
«Abbiamo parlato delle cose che stava facendo in casa, se si stava divertendo. Gli abbiamo promesso che una volta fuori sarebbe venuto con noi a mangiare una brioches. Un modo per farlo stare tranquillo e non fargli percepire quello che si stava creando attorno a lui».
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C’è stato un momento però che non lo avete più sentito. Avete temuto che potesse essere morto?
«Ci siamo convinti che suo papà non gli avrebbe mai fatto male. Eravamo tranquilli da quel punto di vista anche se certo, non sentirlo ad un certo punto del mattino ci aveva un po’ messo in allerta».
Quale è stata la frase che ha convinto l’uomo ad aprire la porta?
«Non c’è stata una sola frase. La sua scelta è stata frutto del rapporto instaurato da mercoledì sera. In tante ore non abbiamo parlato solo di quello che stava facendo, ma anche di tanto altro. Si è fidato»
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