Scappa dall’Albania e dal matrimonio combinato: il giudice concede la protezione

Il tribunale di Brescia scrive: «Se tornasse andrebbe incontro allo stigma sociale per essersi emancipata»
Il tribunale di Brescia le ha concesso la protezione sussidiaria © www.giornaledibrescia.it
Il tribunale di Brescia le ha concesso la protezione sussidiaria © www.giornaledibrescia.it
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In fuga dal matrimonio. Da quello che la sua famiglia aveva combinato e da quello che lei ha accettato solo per poter ottenere il visto. In mezzo ci sono le violenze subite in casa, due espulsioni dall’Italia, alcuni mesi di prostituzione sulla strada.

Un periodo che ora si è concluso con un decreto firmato dal tribunale di Brescia che le ha riconosciuto la protezione sussidiaria.

Il provvedimento

La protagonista è una donna di 32 anni, nata in Albania e cresciuta nel piccolo villaggio rurale di Zerqan. «Suo padre era un uomo violento, dedito all’alcol e fedele agli insegnamenti del Kanun, non sopportava il desiderio di libertà della figlia e l’aveva costretta al matrimonio con un uomo a lei non gradito» ricostruisce il tribunale. «Se tornasse in patria andrebbe incontro allo stigma sociale e familiare che verrebbe inflitto alla donna per essersi emancipata dalla mentalità tradizionale e da un matrimonio combinato. Il danno grave sarebbe causato dal rifiuto della famiglia e più in generale dall’emarginazione nella comunità di provenienza» scrive il collegio presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi. Che ha riconosciuto alla 32enne la protezione sussidiaria per i prossimi cinque anni.

La storia

La donna era scappata dall’Albania una prima volta a 18 anni. «Da noi c’è la mentalità secondo cui dobbiamo sposarci sin da piccole e fin da bambina le famiglie cercano l’uomo per la figlia. Io ero promessa in sposa ad un ragazzo più giovane e quando ho compiuto 18 anni sono fuggita dopo che mi ero opposta al matrimonio cercando ogni scusa per rinviarlo» ha fatto mettere a verbale la 32enne. In Italia arriva con un visto turistico e rimane da clandestina. Fermata per un controllo dalla Polizia viene espulsa con un decreto del Prefetto di Brescia per essersi trattenuta sul territorio nazionale oltre il termine concesso. In Albania resta pochi mesi e scappa ancora. Questa volta da donna sposata. Ma non con la persona che la famiglia aveva scelto per lei. «Con un uomo conosciuto in patria e che mi ha sposato solo per farmi venire in Italia. Dopo che in Questura mi hanno detto che non potevo restare e che non potevo fare richiesta di asilo politico, non sapevo più cosa fare e l’ho sposato».

Così rientra in Italia dove inizia a lavorare come domestica. E dove richiede lo status di rifugiato. «Se torno in Albania ho paura che mi ammazzino. Temo mio padre, per la sua mentalità, e l’uomo che volevano sposassi. Ero la sua promessa sposa e il fatto che sono andata via è un’offesa per lui». La Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale nega lo status di rifugiato. La donna presenta ricorso che il tribunale accoglie parzialmente concedendo la protezione. «In Albania - scrivono i giudici - la violenza fisica e psicologica intrafamiliare a danno delle donne per lungo tempo è stata considerata come una questione privata e le vittime spesso hanno taciuto. Se tornasse in patria andrebbe incontro allo stigma sociale e familiare.

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