Quella torre abbattuta e le macerie dell'informazione

L’abbattimento della torre dei media a Gaza nel raid israeliano di sabato scorso è emblematico
La torre abbattuta a Gaza: era sede di Al Jazeera e altri media -  Foto Ansa/Epa-Mohammed Saber © www.giornaledibrescia.it
La torre abbattuta a Gaza: era sede di Al Jazeera e altri media - Foto Ansa/Epa-Mohammed Saber © www.giornaledibrescia.it
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L’abbattimento della torre dei media a Gaza nel raid israeliano di sabato scorso è emblematico, a prescindere per una volta dal contesto del conflitto in corso, della situazione sempre meno facile che sta vivendo il mondo dell’informazione, soprattutto nei teatri di guerra, ma non solo. Secondo l’ultimo rapporto di «Reporters sans frontières», in oltre 130 Paesi nel mondo l’esercizio del giornalismo è «totalmente o parzialmente bloccato».

L’Italia, causa anche i 20 giornalisti tenuti sotto scorta, non brilla nella speciale classifica dei paesi che possono vantare «libera stampa in libero Stato». La testimonianza è sempre più scomoda, sottoposta a pressioni, «embeddata», narcotizzata. Senza arrivare a eroi quali Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Ilaria Alpi o Daphne Caruana, anche i semplici cronisti sono spesso impossibilitati a operare al meglio, dovendosi accontentare, per esempio, di interviste preconfezionate, aggiustate, indirizzate da ingombranti uffici stampa o abili spin doctor.

Per non parlare delle difficoltà sempre maggiori d’ingresso nel mondo della notizia, delle disincentivanti paghe-base, della carità, nulla più, propinata ai collaboratori meno strutturati. Una situazione portata alla luce anche dalla Fnsi in una protesta di piazza l’altro giorno a Montecitorio. La guerra abbatte le «case» dei media, ma non occorre essere in guerra per registrare le macerie quotidiane del mondo dell’informazione.

 

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