Quando un figlio va a vivere da solo

«Mamma, vado a vivere da sola». Per difendermi da quella bordata replico: «Ottimo, era ora!»
Mamma e figlia - © www.giornaledibrescia.it
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Il giorno in cui, nel reparto di Ostetricia, mi avevano (fastidiosamente) classificato una «primipara attempata», non avevo messo in conto che avrei dovuto arrangiarmi per tagliare il secondo cordone ombelicale di mia figlia. Certe scadenze le avevo sempre tenute a debita distanza. Adesso, che il momento dell’autonomia è arrivato, fatico a vedere la mia bambina come un’adulta, mentre io, ahimé, diventando agé ammorbidisco i miei contorni con qualche chilo di troppo. L’altro giorno, mentre facevamo colazione in cucina, con aria indifferente ha lanciato fra latte e biscotti la sua dichiarazione d’indipendenza: «Mamma, vado a vivere da sola». Io, colpita e affondata come in una battaglia navale, per difendermi da quella bordata replico: «Ottimo, era ora!».

Poi incomincio a sfilare giaculatorie e raccomandazioni, trite e ritrite; la solita chiosa poco convinta sull’uscita dal nido, quale passaggio naturale obbligato e altri materni bla bla. Ma se il verbo andare è un desiderio vorace, il verbo restare è un boccone pepato alquanto indigesto. I genitori di stampo mediterraneo tratterrebbero fino allo spasimo i loro figli; benché molti stazionino in casa come dei villeggianti. Vivono fuori in ogni stagione e mangiano al calar del sole, come se osservassero un perenne Ramadan. Si nutrono di apericena, sushi e pokè. Tornano a ore antelucane e potendo dormono fin a dopo mezzogiorno. La loro stanza sembra bombardata dal napalm e si alterano quando chiediamo un anticipo sui tempi dei loro: «Lo faccio dopo».

Nel frattempo, noi madri cuciniamo con amore i loro piatti preferiti, rilaviamo i panni stazzonati buttati ancora puliti nella cesta in lavanderia. Soffriamo e studiamo con loro durante il liceo. Poi, dopo aver faticato per pagare rette e Master, molti si godono la soddisfazione di vederli laureati e sistemati. Purtroppo ce ne accorgiamo tardi, ma i nostri figli sono la sinopia dei nostri pregi e difetti. Essi sono l’amalgama del nostro modo di guardare la vita, l’unione di tanti piccoli tasselli, come il bambino tenuto per mano dai suoi genitori costruito con i pezzi ritagliati dalle loro statue in 3D, nell’opera digitale realizzata da Chad Knight. I figli e i nipoti diventano la rosa dei venti del nostro quotidiano ma, con lo scorrere degli anni, recuperando una briciola di sano egoismo, padri e madri ritornano a essere delle coppie. Lo capiscono quando, la gioia di vederli arrivare in casa, è pari a quella di vederli andare via.

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