Pronto Soccorso in sofferenza, tra medici in fuga e lunghe attese

In pochi anni un calo del 30% di camici bianchi: concorsi vuoti e borse di specialità «in bianco»
È un periodo di forte stress per i Pronto Soccorso bresciani - Foto © www.giornaledibrescia.it
È un periodo di forte stress per i Pronto Soccorso bresciani - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Sempre più scomoda la posizione di chi è in prima linea al Pronto soccorso, tant’è che negli ultimi tre anni il 30% di chi vi lavorava ha deciso di cambiare vita, nella maggior parte dei casi senza abbandonare la professione.

Medici che se ne sono andati perché non reggono più il peso di turni massacranti in una situazione di emergenza costante, aumentando una cronica situazione di sofferenza che ha portato l’Asst (azienda sociosanitaria territoriale) Spedali Civili ad adottare «soluzioni transitorie, anche dolorose» per garantire il servizio, sottoscrivendo un contratto con una cooperativa.

La situazione negli ospedali bresciani

Il Pronto soccorso dell'ospedale Mellino Mellini di Chiari - © www.giornaledibrescia.it
Il Pronto soccorso dell'ospedale Mellino Mellini di Chiari - © www.giornaledibrescia.it

Altri ospedali bresciani - tra questi Chiari e Desenzano - ricorrono a convenzioni tra enti pubblici per reperire il personale. Al Civile, invece, hanno iniziato a lavorare medici della cooperativa, non necessariamente specializzati in Medicina d’Urgenza. Da qui a fine anno garantiranno la copertura di otto turni di dodici ore ciascuno. «Abbiamo assunto molto, ma non come volevamo: all’ultimo bando per il pronto soccorso si è presentata una sola persona - spiega Massimo Lombardo, direttore generale Asst Spedali Civili -. Di fatto, nei pronto soccorso dei tre ospedali dell’azienda non abbiamo colmato i vuoti del turn over. Il reperimento di medici di alcune specialità sarà il tema dei prossimi anni: finora ce la siamo cavata, ma i segnali della crisi si fanno sentire da tempo su tutto il territorio.

Gli ospedali piccoli l’hanno vissuta prima di quelli grandi che, comunque, sono ora costretti, come lo siamo noi, ad adottare soluzioni estreme, come quella di affidarci ad una cooperativa, l’ultima modalità data all’azienda dopo averle percorse tutte senza risultato. Nessuna esternalizzazione: il contratto è a chiamata e di quattro anni con la garanzia di 30 turni al mese per i casi meno gravi. La clausola, tuttavia, è che appena rientriamo con l’assunzione di altri medici, e speriamo di farlo con il concorso che pubblicheremo a breve, possiamo interrompere la collaborazione».

Lo stress per i pazienti

L'interno del Pronto soccorso del Civile di Brescia, in una foto precedente alla pandemia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
L'interno del Pronto soccorso del Civile di Brescia, in una foto precedente alla pandemia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it

Se i medici in pronto soccorso sono stressati, non lo sono da meno i pazienti e non solo per ragioni di salute. Le attese, per chi non è grave - pari al 70% degli accessi, ai quali spesso non ci sono alternative sul territorio - sono estenuanti. Aggravate dal fatto che, in periodo di pandemia, è difficile essere accompagnati da un parente. Dopo i mesi dell’emergenza, durante i quali la principale porta di ingresso negli ospedali era rimasta a lungo sbarrata per chi non aveva la Covid o non era grave, i pazienti che vi accedono stanno tornando ai numeri prepandemici, scontrandosi contro il muro dei problemi di sempre, aggravati dalle nuove regole sanitarie.

Lunghe attese, acuite dalla nuova organizzazione del lavoro che prevede un doppio triage per garantire la sicurezza degli accessi prima dell’arrivo in sala d’attesa: a tutti viene effettuato un test antigenico rapido. Se negativo, si viene dirottati in una sala d’attesa. Se positivo, in un’altra. A chi deve essere ricoverato, viene effettuato anche il tampone molecolare per decidere, anche in questo caso, se indirizzarlo in reparti Covid o in altri liberi.

Medici e borse di studio

Prima della pandemia mancavano mediamente tre medici su dieci anche nei Pronto soccorso bresciani. Ora la situazione è peggiorata e a farne le spese sono soprattutto gli ospedali più piccoli, meno attrattivi per gli specialisti che escono dalla giovane Scuola di specializzazione dell’Università degli Studi di Brescia. Le borse di studio per il primo anno della Scuola di specializzazione di Medicina d’Urgenza assegnate all’Universià di Brescia sono 24 (17 con fondi statali, sei con fondi del Piano nazionale ripresa e resilienza e una regionale). Gli immatricolati a settembre erano dodici, sono saliti a 15 e al 2 novembre sono ridiscesi a 9 perché, con lo scorrimento delle graduatorie, i medici possono scegliere di cambiare scuola e sede. Dunque, 9 su 24, il 37% in meno di quelli disponibili sulla carta. L’ultimo scorrimento sarà a fine novembre.

Come va in Italia

Se Brescia piange, il resto del Paese non ha motivi per ridere perché è del 50% la quota di borse non assegnate per formare i futuri medici dell’Emergenza ed Urgenza. «L’evoluzione dei pronto soccorso è in atto da anni e noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle tutti i cambiamenti - spiega Cristiano Perani, nuovo responsabile del Pronto soccorso dell’Ospedale Civile, una realtà a cui si rivolgono mediamente 160 persone ogni giorno -. I nostri pazienti sono sempre più complessi e i posti letto nei reparti per quelli cui necessita il ricovero non sono sempre disponibili. Il Covid, e l’impatto emotivo ad esso collegato, ha messo sotto pressione i medici e il personale tutto: il carico di lavoro e l’emergenza che ha richiesto regole nuove di gestione ha determinato un costante e continuo logorio, non solo fisico. Sotto pressione anche i pazienti e sarà nostro compito, nell’attuale riorganizzazione del servizio, riempire di valore queste attese spesso senza significato».

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