Profughi, 500 famiglie bresciane pronte ad aprire le loro case

Dall’inizio del conflitto, un mese fa, 4mila persone fuggite dall’Ucraina sono arrivate in provincia. La polemica delle cooperative
I profughi ucraini con il sindaco di Dello e la famiglia che li ospita - © www.giornaledibrescia.it
I profughi ucraini con il sindaco di Dello e la famiglia che li ospita - © www.giornaledibrescia.it
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Cinquecento famiglie, delle quali centodieci solo in città, hanno dato la loro disponibilità ad ospitare profughi provenienti dall’Ucraina attraverso il modulo che si trova sul sito internet della Prefettura. Un migliaio di posti sono stati messi a disposizione dagli alberghi e dalle strutture di accoglienza che hanno risposto alla manifestazione di interesse pubblicata da Regione Lombardia. Un numero che è destinato ad aumentare.

Poi, ci sono i Centri di accoglienza straordinaria. Non è dato sapere dalla Prefettura quanti sono i gestori che hanno aderito al bando della scorsa settimana. Si sa, tuttavia, che le realtà che già ospitano immigrati nei Centri di prima accoglienza, una ventina in tutto per circa ottocento posti, hanno dovuto garantire d’ufficio l’aumento del 20% della disponibilità ad accogliere rispetto al numero di persone già accolte. Significa, su Brescia e provincia, una disponibilità quasi immediata di altri 160 posti. Per il resto, si è in attesa di dati certi da palazzo del Governo.

Caritas, ad esempio (anche attraverso la sua cooperativa Kemay) in totale dovrebbe gestire 173 posti di prima accoglienza. La metà sono già occupati, mentre ottanta sono quelli che ha reperito per ampliare il servizio dopo il bando del 17 marzo pubblicato dalla Prefettura per dare risposte all’emergenza Ucraina.

La polemica sulle rette

Non si sa quanti hanno aderito al bando per la gestione dei Centri di accoglienza straordinaria. Si sa, però, che molte cooperative si sono defilate in polemica con le rette assegnate per ogni profugo ospitato, poco più di venti euro, a fronte degli accordi sottoscritto dalla Regione con le associazioni di categoria degli albergatori. «L’accoglienza è l’integrazione sociale è cosa diversa dalla semplice ospitalità alberghiera - si sfoga il presidente di una cooperativa -. A noi vengono chiesti, oltre al vitto e all’alloggio, anche un minimo pocket money giornaliero, cure mediche, accompagnamento legale e burocratico per le pratiche amministrative, orientamento ai percorsi successivi all’uscita dalla protezione e, se necessario, supporto psicologico. È evidente che si tratta di un impegno diverso dalla pur qualificata accoglienza in una struttura alberghiera».

«Risorse inadeguate»: il decreto Ucraina

Ancora: «Qualsiasi realtà, sia essa cooperativa o associazione, che decide di accogliere profughi nei Centri di accoglienza straordinaria, nel giro di 24 ore va in perdita perché quello che viene corrisposto non è per nulla sufficiente a garantire il minimo dei servizi che vengono richiesti». Mentre l’accoglienza istituzionale si sta organizzando, le famiglie si sono da subito messe a disposizione. Anche per loro è previsto in aiuto: con il decreto Ucraina approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri, l’Italia stanzia altri 30 milioni per creare nuovi 75.000 posti nella rete di accoglienza che vanno ad aggiungersi agli 8.000 già disponibili nei centri Cas e Sai (sistema accoglienza integrazione).

Lo stesso decreto assegna al dipartimento della Protezione civile il compito di definire due nuove forme di accoglienza diffusa, più adatte alla tipologia di persone in fuga dalla guerra, quasi tutti donne e bambini che stanno trovando ospitalità a casa di amici e parenti. Dunque, per 60.000 profughi che provvederanno autonomamente alla loro sistemazione è previsto un contributo (dovrà essere quantificato in relazione al nucleo familiare) che verrà versato direttamente, per un periodo di 90 giorni, alle persone che chiedono protezione internazionale.

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