Prof suicida a scuola, lo psicoanalista: «Aiutiamo i ragazzi»

Dopo la tragedia dei giorni scorsi alla media Pascoli, emerge la necessità di dar voce a sofferenza e interrogativi
L'elaborazione del suicidio da parte dei preadolescenti è particolarmente delicata - © www.giornaledibrescia.it
L'elaborazione del suicidio da parte dei preadolescenti è particolarmente delicata - © www.giornaledibrescia.it
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Imbattersi nel suicidio è sempre un trauma. Per tutti. Figuriamoci per un preadolescente - come accaduto nei giorni scorsi in una scuola media Pascoli di Brescia - che oggi conosce la morte come fiction, spettacolarizzata in una quantità di videogiochi che la rendono irreale e banale. In ogni caso è sconvolgente scoprire il corpo esanime di chi ha deciso quel gesto assoluto e definitivo.

Di solito emergono una quantità di interrogativi: Perché? Quali motivazioni? Come mai così all’improvviso? Domande su domande che si mescolano a un dolore acuto, lancinante e a misto di incredulità e rabbia, di vergogna e senso di colpa. Perché queste sono le risposte più frequenti, ovvero le reazioni che attraversano quello struggimento infinito che accompagna chi scopre il suicida. Frequente, frequentissima poi, è l’idea di essere in qualche modo responsabili, se non altro per non aver saputo intercettare la sofferenza di chi stava coltivando quel gesto impensabile.

Nel suicidio manca sempre un evento che spieghi, manca il motivo che possa rendere sopportabile il lutto come esperienza. La sua elaborazione, pertanto, è di per sé difficile e i sentimenti di chi incontra il suicidio sono confusi, ambivalenti, a volte indicibili, richiedono tempo e pazienza per essere espressi e trasformati. Tuttavia è necessario esprimerli subito, non trattenerli. Aspettare di parlarne e ancor più cercare di dimenticare l’accaduto è rischioso quanto pensare che serve tornare in fretta alla normalità della vita. C’è invece bisogno di condividere con altri il dolore e quel crogiolo di emozioni variegate che attraversano l’anima e solcano i pensieri. C’è la necessità che vi sia qualcuno che ascolti e non spieghi, che partecipi e non giudichi.

Per i ragazzi e i bambini che si trovano ad affrontare questi momenti, non vi è che la scuola in grado di dare un primo aiuto. E questo dovrebbe coincidere nel lasciare sempre uno spazio per il confronto, un tempo dove poter dire quello che si avverte e condividere realmente i propri vissuti, perché questo serve a dare un significato alla sofferenza che sconvolge e può paralizzare. Serve esprimere le domande più assillanti e spingere gli adolescenti a lasciare fluire i loro pensieri più difficili anche se è necessario che vi sia, allo stesso tempo, un docente capace di gestire quella confusione acuta che genera il dolore.

I ragazzi, ma anche i bambini, hanno necessità di capire quanto il suicidio sia in fondo legato a problemi di salute mentale e alla depressione e che quel gesto non è quasi mai il risultato di un evento particolare o di un singolo problema. È importante far chiarezza su questo, perché può servire a trasmettere l’idea che quando si sta male è necessario chiedere aiuto. Fondamentale è evitare che si coltivi l’idea di un colpevole da trovare per capire il gesto suicidario, perché il suicidio è sempre il risultato di molti fattori associati.

Forse per sostenere gli adolescenti nella elaborazione di questo evento, bisognerebbe non concentrarsi troppo sul metodo adottato da chi si è tolto la vita, evitando di insistere sui dettagli, mentre è più utile affrontare i sentimenti emergenti e intensi che di solito sono la rabbia e la colpa. Rassicurare i ragazzi che è normale provare rabbia nei confronti del suicida è altrettanto importante quanto aiutarli a capire che non vi è motivo di sentirsi in colpa per non aver potuto fare nulla per il suicida.

 

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