Porta sconosciuto a processo: «Mi pedinava e spiava col gps»

Dice di esserselo trovato ovunque: fuori dalla scuola del figlio, fuori dal bar dove faceva colazione tutte le mattine, incollato allo specchietto retrovisore della sua auto, per interminabili minuti, lungo strade fuori dalle rotte più comuni. Di averlo avuto sempre addosso, anche quando era a distanza di sicurezza, tramite un trasmettitore gps. Un incubo senza senso, orchestrato da uno sconosciuto e per ragioni sconosciute durato qualche mese. Un incubo davanti al quale passa al contrattacco e dà il là ad un processo per stalking.
Lei, 44enne mamma, e lui, 61enne imprenditore di casa in centro storico, ieri dopo anni si sono ritrovati in aula in Tribunale, davanti al giudice Mauro Ernesto Macca. La parola è toccata alla donna, assistita dall’avvocato Alessandro Brizzi. L’uomo, difeso dall’avv. Giuseppe Pesce, avrà modo di rispondere ad ottobre, per la prossima udienza del processo.
La presunta vittima ieri ha riportato le lancette della storia alla primavera del 2017 e, dopo aver raccontato di aver notato il presunto stalker in più occasioni lungo il tragitto tra la scuola del figlio e il bar del suo cappuccino quotidiano, ha descritto l’escalation che l’ha portata a sporgere denuncia. «La situazione precipita a maggio - ha riferito la signora -: tre gli episodi più pesanti. Un giorno me lo sono trovato dietro, mentre ero in auto. Non era la prima volta, ma in quell’occasione l’ho messo alla prova. Su consiglio di mio marito, che nel frattempo avevo chiamato, l’ho portato in strade isolate: lui curvava tutte le volte che curvavo io. Un caso? Direi proprio di no».
A peggiorare la situazione e la percezione della donna ci si mette anche il racconto che, proprio in quei giorni, le fa il figlio. «A scuola - avrebbe detto l’adolescente alla madre - le figlie di quell’uomo (il presunto stalker, ndr) mi hanno chiesto come ti chiami e come si chiama il nonno». La tensione va alle stelle. «Ho cominciato a temere per il mio bambino - ha spiegato la donna -: il padre del mio secondo marito è una persona facoltosa, molto in vista. Ho temuto volessero rapirmelo».
Perché scatti la denuncia, però, serve altro. La goccia che fa traboccare la pazienza cade nel vaso il 21 maggio di quello stesso anno. «Stavo facendo colazione in via Crocifissa di Rosa con mio marito - ha raccontato la 44enne -: lui (l’imputato, ndr) è arrivato a bordo della sua Range Rover e l’ha posteggiata in fianco alla mia auto. Quando è sceso si è messo ad armeggiare nei pressi della mia macchina. Si chinava e spariva dalla mia visuale, nascosto dalla mia Mercedes. Se n’è andato dopo qualche minuto».
A dire della vittima, in realtà, non l’ha mai abbandonata. «Temendo che mi avesse attaccato un rilevatore Gps sul fondo della mia Gle, sono andata in concessionaria e ho scoperto di avere ragione. C’era un rilevatore di posizione, il meccanico me l’ha tolto e l’ha lanciato in un campo vicino all’officina. Mio marito - che nel frattempo avevo chiamato - pochi minuti dopo ha trovato quell’uomo fuori dal concessionario e l’ha fermato. Gli ha chiesto perché mi seguisse: lui ha fatto finta di non conoscermi. Il giorno dopo - ha detto la donna - si è presentato al bar per un chiarimento. Ha lasciato un biglietto da visita e detto che se non ci fossimo fatti vivi sarebbe andato dai carabinieri. Ci siamo andati prima noi».
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