Palazzi in fiamme nel fumo delle norme

I video del grattacielo milanese in fiamme mi hanno ipnotizzato per un po’ di ore. Non tanto per la danza macabra del fuoco che vorticava dai piedi del gigante su fino a sfidare la gravità a 60 metri di quota. Né per l’accorrere dei Vigili del Fuoco, chiamati a infilarsi oltre la cortina di fumo e a rischiare grosso. Quanto per una sorta di cortocircuito, innescato da quelle immagini contraddittorie.
Siamo in grado di elevare muri (perché no, antisismici), strutture portanti, speranze sotto forma di case in uno slancio di verticalità audacissima salvo poi accorgerci di inattese fragilità. I primi elementi emersi bastano a infiammare le polemiche: abbiamo garantito bellezza e prospettiva a un edificio avvolgendolo in pannelli tutt’altro che ignifughi. Grazie ad essi, la torre bruciava che manco la Vecchia il Giovedì grasso. E con essa, di lì a poco, avvampava il nostro sconcerto nell’apprendere che esiste una Guida tecnica ai materiali per le facciate (le stesse da mesi regine delle assemblee di condominio all’ecobonus, il padre di tutti i cappotti).
Purtroppo però non c’è legge che obblighi al rispetto di quei precetti. Vero che il costruttore deve a priori tutelare vita e beni. Eppure, la chiarezza di una scelta normativa che forse eviterebbe equivoci e margini per contenere costi sulla sicurezza è stata elusa, avvolta da una cortina di fumo all’italiana. Una verità che brucia. Quanto una torre di 60 metri.
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