Norme antincendio: come funziona nei 76 grattacieli di Brescia
A sovrapporle l’una all’altra ne verrebbe una maxi colonna alta almeno 2 chilometri e mezzo, a ragionare per difetto. Sono le 76 torri più elevate della nostra città. Un numero peraltro lievitato nell’arco degli ultimi quattro anni (nel 2017 se ne contavano 59) che ricomprende tutti quegli edifici ad uso civile che superano i 24 metri di altezza e che, ripartiti in tre distinte categorie, sono soggetti a specifiche normative antincendio.
Sono una dozzina quelle che svettano oltre i 54 metri in senso assoluto, anche se al fine della prevenzione vale quella che la norma indica come «altezza antincendi», calcolata in corrispondenza degli ambienti abitabili più elevati. Ragione per la quale sono otto i «giganti» (potete vedere dove sono nella mappa interattiva qui sotto) che ricadono nella fascia che la normativa in vigore dal 2011 indica come categoria «C», la più sorvegliata. Figurano tra di essi i grattaceli più celebri, dal Crystal Palace allo Skyline 18, dalle Tre Torri di via Flero (formalmente un unico complesso) al Futura di Casazza, dalle torri Cimabue e Tintoretto al 28 Duca d’Aosta firmato da Fuksas. Seguono 23, invece, i complessi che oscillano fra i 54 e i 32 metri (categoria «B») e i 45 giganti minori, che si sviluppano verticalmente tra i 24 e i 32 metri («A»). Una ripartizione tutt’altro che oziosa, perché da essa dipendono i criteri di prevenzione ai quali sono soggetti gli edifici che svettano nella Leonessa.
Per gli «over 54», ad esempio, è previsto, oltre all’approvazione preliminare del progetto, il sopralluogo di un funzionario dei Vvf che attesti la rispondenza di quanto previsto sulle carte e in Scia, a seguito del quale viene rilasciato apposito verbale («di visita tecnica di prevenzione incendi»). Per le altre due categorie, il sopralluogo è eseguito a campione.
La prevenzione inizia insomma ancora prima di mettere mano al cantiere. E il rispetto di alcune norme specifiche del 1987 e 2006, indicano i fondamentali: materiali da impiegare nelle strutture portanti e non solo, vie di fuga da prevedere, impiantistica, tubazioni, ambienti tagliafuoco in prossimità di vani strategici per l’evacuazione, scale a prova di fumo e via dicendo vanno concepite secondo criteri stringenti.
E le facciate? Il nodo alla luce del caso milanese di ieri, appare poi quello delle facciate: l’edificio ha retto, le pareti esterne sono bruciate in un amen. Nel 2013, il Viminale ha definito con un’apposita circolare la «Guida tecnica per la determinazione dei requisiti di sicurezza antincendio delle facciate negli edifici civili». Al suo interno, per le varie tipologie di facciata (semplice, aperta, a doppia parete ventilata, continua, ecc.) vengono fornite indicazioni in fatto di materiali utilizzabili, in virtù delle loro caratteristiche ignifughe (o di elevata resistenza al fuoco), come pure di impianti di spegnimento eventuali. Un testo, elaborato dai Vigili del Fuoco, secondo gli addetti ai lavori, molto puntuale, ma non sorretto da alcun vincolo di legge. In altre parole: ottimi consigli, ma nessun obbligo di adozione.Quindi, è tutto lasciato al caso? Non esattamente. Come spiegano dal Comando dei Vigili del Fuoco di Brescia, ogni costruttore deve perseguire in fase progettuale e realizzativa l’obiettivo primario della tutela della vita, dei beni e dell’ambiente, quello che informa tutta la normativa antincendio (e in particolare il recente decreto ministeriale del 25/1/2019). Peraltro, in questo atto viene espressamente citata la preziosa Guida elaborata dai Vvf, ma solo in ragione del fatto che «può costituire un utile riferimento progettuale». L’obbligo, insomma (e non solo per i «giganti»), anche in questa occasione non è contemplato. Un paradosso, sciogliendo il quale forse il legislatore offrirebbe un ulteriore contributo alla prevenzione e all’eventuale rimpallo di responsabilità in caso di guai.
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