Omicidio Cristina Maioli: «L'assoluzione del marito è granitica»

Il processo d’appello non solo non ha messo in dubbio le conclusioni della Corte d’assise di primo grado, ma le ha addirittura rafforzate
La Scientifica della Polizia nel palazzo dove viveva la coppia - © www.giornaledibrescia.it
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Il processo d’appello non solo non ha messo in dubbio le conclusioni della Corte d’assise di primo grado, ma le ha addirittura rafforzate. A scriverlo è il giudice Massimo Vacchiano, relatore dell’assise di secondo grado che lo scorso 25 marzo ha confermato l’assoluzione, perché al momento del fatto incapace di intendere e volere, di Antonio Gozzini, l’81enne che la notte tra il 3 e il 4 ottobre di tre anni fa, nel loro appartamenti di via Lombroso, uccise la moglie Cristina Maioli colpendola con un martello e affondandole più volte un coltello da cucina alla giugulare.

L’uomo, ricoverato nella Rems di Castiglione delle Stiviere, per il consulente dell’accusa Sergio Monchieri e per quello della difesa Giacomo Filippini era affetto da un disturbo delirante di gelosia. Era patologicamente convinto, pur senza averne le prove, che la moglie lo tradisse.

Un delirio, il suo, che i consulenti di accusa e difesa rintracciarono nel corso dei colloqui, insieme ad «un pensiero disturbato dall’interferenza dell’emotività e delle preoccupazioni che comportano cadute nell’esame di realtà, sintesi irrazionali e giudizi gravemente compromessi». Valutazioni che i giudici, pesando gli argomenti spesi dal pubblico ministero nell’atto d’appello, ritengono «granitiche».

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