«Muoviamoci» per l’Abe: 15mila euro per portare lo sport in Oncoematologia

Con la manifestazione benefica di Millennium finanziato il progetto «Sport-therapy»
15MILA EURO PER LO SPORT IN CORSIA
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Dieci giorni di sport e centinaia di atleti che si sono cimentati in diverse discipline, dal nuoto alla corsa, con la «Fluo run», fino alla cronoscalata in bici della Maddalena: «Muoviamoci 2023» ha raccolto 15mila euro per l’Abe, l’Associazione Bambino Emopatico. Il ricavato della manifestazione di Millennium sport & fitness quest’anno, infatti, ha sostenuto «Sport-therapy», progetto pilota del Civile nato nel 2018 da un incontro casuale tra la chinesiologa Linda Peli e il responsabile dell’Oncoematologia pediatrica Fulvio Porta.

La consegna simbolica di questi fondi, indispensabili continuare a portare lo sport tra le corsie, è avvenuta ieri al Civile, nella sede dell’Abe; a partecipare Fulvio Porta e Linda Peli, Luciana Corapi, cuore e presidente di Abe, Lucio Zanchi e Paolo Cima di Millennium, Massimo Capretti, socio Abe e sponsor dell’iniziativa e il consigliere comunale Luca Pomarici . Un’occasione per fare il punto sul progetto e sui risultati ottenuti.

L’esperienza

Sono 52 in Italia le oncoematologie pediatriche e solo due hanno un programma dedicato allo sport e il Civile di Brescia è stato il primo («non c’era un progetto così in Italia o nel mondo» ha detto Porta); qui si stanno tutt’ora registrando i risultati di questo protocollo di ricerca. Diventerà, quindi, letteratura scientifica.

Il progetto nasce nel 2018, da un’idea di Linda Peli, che già lavorava a Nikolajewka. L’obiettivo di «Sport-therapy» è, per dirla con le parole dio Fulvio Porta, portare «la terapia fisica al bambino nel letto per mantenere il corpo e la mente nella migliore condizione possibile. Tutti i ragazzini oggi hanno la scuola e l’attività fisica, il momento della malattia è devastante perché interrompe la quotidianità. Noi ci troviamo ad affrontare malattie che nell’85% dei casi guariscono, ma ci mettono tra i 6 mesi e i 24 mesi e in questo tempo c’è il rischio che si presenti un problema fisico. Noi curiamo un corpo, ma il corpo deve tollerare le cure e gli allettamenti prolungati». E così l’attività fisica è diventata parte della terapia: «Lo sport è come un farmaco - ha detto Lucio Zanchi -, ne va dato un po’ ogni giorno e va personalizzata la quantità». «Un tempo ci servivano televisioni, computer e letti - ha detto Porta - oggi è importante la progettualità sana».

I bambini così eseguono esercizi, il programma prevede tre allenamenti alla settimana di 30 o 50 minuti, con il chinesiologo che lo segue: «L’intervento è personalizzato - spiega Peli -, l’oncologo segnala al medico dello sport che prescrive un’attività fisica adattata al paziente e il chinesiologi somministra l’esercizio. Al bambino resta il divertimento e un po’ di fatica. Seguiamo bambini e ragazzi che già praticavano sport prima di ammalarsi, ma anche quelli che non ne facevano. Questi ultimi, poi, da guariti, cominciano a praticarlo capendone l’importanza». E non è l’unico risultato: anche gli agonisti fermati dalla malattia, a pochi mesi dalla dimissione, ricominciano a fare gare. È il caso, ad esempio, di Rachele Capretti che, non a caso, ha prestato la sua immagine a «Muoviamoci 2023» con Francesco Renga e sua figlia Jolanda: la ragazza, che partecipava a gare di sci nazionali, a due mesi dalla guarigione, è tornata a partecipare, e vincere, nel SuperG. Ma è solo una delle tante: ci sono altre storie simili di successo.

I 15mila euro raccolti, quindi, oltre a finanziare l’attività quotidiana e a far star bene i bambini, permettono alla ricerca scientifica di proseguire e dimostrare che questa «esperienza pilota» funziona, che questo approccio può diventare «golden standard - ha detto Porta - per le altre oncoematologie».

«Per noi ogni raccolta è un granello di sabbia - ha detto la presidente di Abe Luciana Corapi -, che ci aiuta a portare avanti i nostri progetti, che sono tanti e costosi». «Un centro di eccellenza deve avere dietro una città, gli amici e sovvenzionatori - ha concluso Porta -. Lo standard lo dà lo Stato, ma l’eccellenza può essere fatta solo quando hai persone che capiscono la tua mission e ti aiutano».

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