Mondo del lavoro in allarme: «È fuga di lavoratori stranieri»

Mancano lavoratori. Nei servizi, nell’industria, nel terziario. Mancano in agricoltura. Settori che, da anni, occupano alte percentuali di personale di origine straniera. «Il tema esiste» afferma Roberto Zini, vicepresidente relazioni industriali e Welfare Confindustria Brescia.
«Tra le difficoltà maggiori, vi è la quasi impossibilità di assumere professionisti che giungono dall’estero, perché le procedure sono lunghissime, al punto da vanificare ogni sforzo da parte nostra e loro».
Un dato su tutti: la «blue card», lo speciale permesso di soggiorno per migrazioni qualificate, è pari all’1% del totale di tutti i permessi rilasciati per lavoro dal 2013 al 2020. Poco, se si considera che gli immigrati occupati nelle industrie bresciane sono pari al 19% sul totale, il 15,3% in alberghi e ristoranti e il 18% in agricoltura. Nel lavoro domestico il divario tra stranieri e italiani è enorme: 15,2% i primi a fronte dell’1% dei secondi. In questo scenario, è evidente che anche una contrazione di pochi punti percentuali nelle presenze ha un impatto significativo sul mercato del lavoro. È un poco che pesa.
La ristorazione
Dalla Fipe-Confcommercio il dato che spiega la grande sofferenza degli albergatori che nell’ultima stagione estiva sono rimasti a corto di personale: «Prima della pandemia un quarto dei nostri lavoratori era di origine extracomunitaria. Di questi, sul mercato del lavoro ne è rimasto circa il 20%». Assenze che pesano. Del resto, l’ingresso legale nel nostro Paese, se si escludono ragioni di studio o di salute, è quello previste dalle «quote» per motivi di lavoro che si esauriscono in in lampo.
La fuga
Come la continua flessione delle presenze che emerge dalla tabella del Dossier Statistico Immigrazione realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos e che verrà presentato oggi a Brescia, in contemporanea con le principali città italiane.
Alla fine della tabella dei residenti, spicca il segno meno davanti al numero che indica quanti sono ora gli stranieri che vivono nel Bresciano rispetto all’anno precedente. Meno duemila unità nel 2021 rispetto al 2020. Anni in cui non poteva che essere così, perché nel periodo della pandemia immigrare era impossibile.
Ottomila in dieci anni
Poi, volgendo lo sguardo a quello che è accaduto nell’ultimo decennio, ci si rende conto che nel Bresciano la fuga degli immigrati è iniziata nel 2011, quando la crisi economico-finanziaria ha iniziato a incidere significativamente sul mercato del lavoro, ed è proseguita nel 2012 e 2013, con una perdita di circa ottomila residenti di origine straniera. Persone che in parte sono tornate ai loro Paesi di origine, perché era diventato proibitivo vivere a Brescia con la famiglia senza un lavoro.
I residenti attuali sono circa 38mila in città (Romania, Pakistan e Ucraina le prime tre provenienze) e oltre 155mila in provincia (Romania, Albania e India). A emigrare in altri Paesi europei, soprattutto del Nord, sono stati - e sono - coloro che hanno in tasca il passaporto italiano, ottenuto insieme al riconoscimento della cittadinanza. Il tasso di acquisizione di cittadinanza è pari al 28 per mille. Nel 2014 la curva è iniziata leggermente a risalire, per poi stabilizzarsi negli anni successivi e riprendere a flettere dopo il 2020 a causa del Covid. Anche pochi punti percentuali in meno, tuttavia, incidono su un mercato del lavoro in sofferenza.
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