«Mi ha drogata e stuprata»: a processo il suo datore di lavoro

I fatti sarebbero successi la notte di Santa Lucia di tre anni fa, in un ristorante del centro storico cittadino
"MI HA DROGATA E VIOLENTATA"
AA

Di quella sera, e avrebbe preferito cancellarli, ricorda tre flash. Uno: lei sdraiata a terra, con lui, il suo datore di lavoro, sopra di lei nudo. Due: lei sdraiata a terra e lui in piedi, nudo che piange e si pente di quello che ha fatto. Tre: lei che sale a stento le scale del ristorante nel quale lavora da appena dieci giorni, mette mano al telefono e chiama mamma: «Vienimi a prendere».

Perché di quelle ore non ricordi nient’altro è una cosa che si chiede da allora e che, da allora, si spiega solo in un modo: che nel bicchiere di vino offerto dal giovane titolare del locale in città, quella sera a fine turno, ci fosse del Ghb, più conosciuto come droga dello stupro. La convinzione della giovane donna, che all’epoca dei fatti (la notte di Santa Lucia del 2019) aveva da poco compiuti 18 anni, si è tramutata in una denuncia che a sua volta è diventata un processo per violenza sessuale aggravata a carico del giovane ristoratore.

La ragazza ieri è stata sentita in aula dai giudici della prima sezione penale (presidente Mauro Liberti) dal pm Lisa Saccaro e dal difensore dell’imputato, l’avvocato Sandro Mainardi. L’ha fatto riparata da un separè, per non farsi riconoscere, per non guardare in volto l’uomo che ha accusato e che è presente in aula. La giovane ha raccontato quelle tre immagini e le sensazioni che ha provato; ha riferito - all’uscita dall’incubo - di essersi ritrovata vestita come da sola non avrebbe mai fatto da sé. Negato di essersi scambiata messaggi ed emoticons con il suo presunto violentatore nei momenti successivi allo stupro («è stato lui, poteva farlo, non avevo blocchi sul telefono» ha detto) e soprattutto di essersi spiegata quanto successo solo come conseguenza dell’assunzione non voluta della droga che provoca l’azzeramento delle difese.

Sul banco dei testimoni si è seduta anche la mamma della giovanissima. «Mi chiamò per andare a prenderla - ha riferito la donna - quando arrivai trovai un fantasma. Aveva gli occhi completamente rossi, il volto liquefatto dalle lacrime. Si sedette sul sedile dietro, con le mani sulla testa. Senza dire una parola. Solo "portami a casa, portami a casa". Era del tutto incosciente, non rispondeva alle domande. Non connetteva. Non reagiva. Ero spaventatissima. Ho chiamato subito un vicino di casa, che fa il soccorritore sulle ambulanze (e che ha ribadito ieri in aula, il quadro allarmante riferito dalla madre, ndr).

Le ha sentito il battito, il respiro, è stato un po’ a casa nostra. Abbiamo deciso di non andare subito al pronto soccorso, perché mia figlia poi si è addormentata. Io comunque volevo capire cosa fosse successo - ha proseguito la donna - parlare con il suo datore di lavoro. Così chiamai le amiche di mia figlia per farmi dare il codice di sblocco del suo cellulare, che io non avevo e riuscii a sbloccarlo».

Se poi la telefonata sia partita, se il telefono scandagliato alla ricerca di un perché, il processo ieri non lo ha stabilito. «Al pronto soccorso ci siamo andate al risveglio» ha detto la madre. «Chi mi ha visitato - ha raccontato la vittima - ha confermato tracce di un rapporto sessuale». E tracce di droga dello stupro, chiede l’avvocato Mainardi? «Non sono state cercate. Né allora, né dopo» ha risposto la mamma. Il processo è stato aggiornato a marzo 2023. Toccherà all’imputato dire la sua.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia