Maxi inchiesta Leonessa: «La mafia non c’entra»

La mafia non c’è. La frode sì e pure in misura pesantissima. Tanto pesante quanto le condanne che attorno alle 18 di ieri i giudici della prima sezione penale (presidente Maria Chiara Minazzato) hanno inflitto a Rosario Marchese e ad altri dieci imputati a processo per associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alle indebite compensazioni fiscali.
Questo l’esito, parziale, della maxi inchiesta «Leonessa», indagine che aveva acceso i riflettori sui rapporti tra imprenditori della nostra provincia e uomini in odore - stando alla prospettazione della Dda di Brescia - di criminalità organizzata, vicini in particolare alla mafia gelese.
Condanne per 61 anni
La condanna più pesante è toccata a Rosario Marchese, consulente fiscale, originario di Caltagirone ma da anni trapiantato sul lago di Garda. Per il sostituto procuratore Paolo Savio era lui il promotore dell’associazione per delinquere che sarebbe riuscita a frodare al fisco diversi milioni di euro, attraverso il meccanismo delle compensazioni tra debiti fiscali e crediti di imposta fittizi. Il Tribunale lo ha condannato a 16 anni e un mese di reclusione, oltre al pagamento di una multa di 7.900 euro.
I giudici hanno disposto nei suoi confronti anche un sequestro di beni per 19 milioni e mezzo di euro, l’ammontare della frode. La sentenza non è stata leggera nemmeno per Angelo Fiorisi, 54enne di Gela, ritenuto dalla Dda bresciana promotore, al pari di Marchese, del sodalizio criminale; l’uomo in grado di coordinarne tutta l’attività anche se in libertà vigilata. Per lui il Tribunale ha deciso 7 anni e 8 mesi di carcere, mentre si è fermato a 7 e 4 per Antonella Balocco e a 7 per Corrado Savoia, commercialisti torinesi che avrebbero permesso al sodalizio di vestire di credibilità i suoi business illeciti. Quattro anni e 8 mesi i giudici hanno inflitto al braccio destro di Marchese, Gianfranco Casassa cui spettava il reclutamento tra gli imprenditori bresciani di potenziali clienti interessati al business delle indebite compensazioni.
A Simone Di Simone e Giovanni Interlicchia il sodalizio affidava la trasmissione telematica degli F24 taroccati. I giudici per loro hanno deciso pene rispettivamente di 4 anni e 7 mesi e 4 anni e 6 mesi di reclusione. Quattro anni invece per Giuseppe Arabia, autista e prestanome di Fiorisi, mentre a due anni sono stati condannati Alessandro Scilio ed Enrico Zumbo. Un anno e 8 mesi la pena inflitta infine a Carmelo Giannone, uomo di fiducia di Marchese.
Le cinque assoluzioni
Assolti invece Salvatore Antonuccio, Giuseppe Cammaleri, Danilo Cassisi, Matteo Collura e l’avvocato Roberto Golda Perini. Il Tribunale ha disposto anche l’immediata scarcerazione di Angelo Fiorisi e di Giuseppe Arabia e la revoca delle misure dell’obbligo di firma e di dimora imposte a Salvatore Antonuccio. Le valutazioni dei giudici saranno note solo tra novanta giorni con la pubblicazione delle motivazioni. Solo tra tre mesi si saprà perché - a differenza di quanto ipotizzato dall’accusa - per loro, oltre che per i difensori degli imputati, non si può parlare di criminalità organizzata di stampo mafioso. Perché ancora una volta non si possa parlare di mafia.
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