Locatelli: «Covid 19, la fase dei lockdown ormai è una storia alle spalle»

Non è semplice essere semplici, soprattutto se si affrontano temi di grande complessità che incidono profondamente sulla vita delle persone. Franco Locatelli, oncoematologo al Bambin Gesù di Roma e presidente del Consiglio superiore di Sanità, ha raccontato con «semplicità» la suprema attenzione che ciascuno ha dovuto adottare durante la devastazione di una pandemia che non si vedeva da un secolo. E che, dunque, nessuno di noi aveva mai visto prima. Con lui parliamo di Covid, ma anche della diffusa paura nei confronti della scienza e del rapporto di fiducia che non sempre ha retto nei lunghi mesi che ci separano da quel gennaio 2020. Prima, però, da parte del professore che è stato presidente del Comitato tecnico scientifico Coronavirus, un omaggio a Brescia, la città che oggi lo ospita, e a Bergamo, città che gli ha dato i natali: «Onorato del riconoscimento che mi ha attribuito l’Università degli Studi di Brescia. Per me un onore assoluto ricevere questo Dottorato da parte di un’Università prestigiosa come la vostra, magistralmente guidata dal professor Maurizio Tira e dal suo forte interesse per i giovani».
Professore, la circolazione del virus che causa Covid-19 è in aumento. Dobbiamo preoccuparci?
Era prevedibile che la diffusione del SarsCov2 aumentasse in questo periodo dell’anno, favorita dalle mutate abitudini legate al clima più freddo. In circolazione ci sono due varianti, anche se la BA5 è presente ormai nel 95% delle infezioni. È molto contagiosa e sfugge in parte ai meccanismi di prevenzione del contagio del sistema immunitario. Tant’è che, tra i nuovi positivi, a partire dalla metà di settembre, il 18% è composto da reinfezioni: una punta massima se si pensa che lo scorso gennaio chi si infettava di nuovo era pari al 3-4%. Tuttavia, ed è quello che conta, l’impatto dei ricoveri sulle terapie intensive e in area medica è limitato ed è ampiamente frutto della campagna vaccinale condotta nel Paese. Per questo oggi forte è l’appello nei confronti degli over 60 e anche dei più giovani, se fragili per patologia: ora ci sono i vaccini bivalenti, vaccinatevi. Non si evita l’infezione, ma la malattia grave sì, e non mi sembra una cosa irrilevante. Inoltre, si contengono i ricoveri e si permette agli ospedali di occuparsi dei moltissimi altri malati.

Esiste il rischio di ulteriori restrizioni, fino a quella estrema del lockdown?
Non vivremo mai più altri lockdown: non si ha alcun segnale che si vada in questa direzione, a meno che emerga una variante ancora più contagiosa e, soprattutto, più patogenetica, ovvero in grado di stabilire un processo morboso. Posso affermare che quella dei lockdown è una storia che ci siamo lasciati alle spalle, anche grazie ai vaccini e ai farmaci antivirali di cui non disponevamo all’inizio della pandemia. Tuttavia, anche se fortunatamente gli obblighi sono venuti meno, rimane la responsabilità individuale di arginare un virus che ancora esiste e che si diffonde. Credo che tutti noi abbiamo imparato quando è necessario indossare la mascherina che, oltre a proteggerci dal SarsCov2, ci tutela anche dagli altri virus influenzali che iniziano a circolare.

Professore, la pandemia ha messo in luce che anche nel nostro Paese esistono profonde sacche di scetticismo nei confronti della Scienza. Emblematica in questo è stata l’esperienza dei vaccini.
Vorrei ritornare a quei giovani cui facevo cenno parlando inizialmente dell’Università. A loro, che sono la nostra proiezione nel futuro, è deputato a tutti gli effetti il compito di creare una società che si fondi su scienza ed evidenza coniugate all’attenzione nei confronti degli esseri umani e, in particolare, dei più fragili e di chi soffre. La sfiducia nella scienza non può essere liquidata con l’ignoranza. È un tema più articolato e complesso cui ci si deve accostare con attenzione per farsi capire e per rendere comprensibili concetti anche non semplici. Ricordando che il metodo scientifico richiede evidenza, riproducibilità dei dati, trasparenza e l’onestà intellettuale che li faccia gestire in modo da mantenerne l’integrità.

Cosa rende autorevole e credibile uno scienziato?
Per essere ascoltato e creduto uno scienziato deve mantenere l’integrità del mondo scientifico di cui fa parte e non deve essere autoreferenziale, perché comunicare è una grande responsabilità. Lo si deve fare in modo trasparente e chiaro, avendo al contempo l’accortezza di non enfatizzare o drammatizzare per evitare paure, insicurezza e sfiducia. Lo scienziato deve essere aperto ad ascoltare le opinioni degli altri ed avere la capacità di porsi continuamente domande perché l’arte di porsi domande è molto più importante di quella di dare risposte. Non dimentichiamo che l’elemento fondante di una Università è saper trasmettere la capacità di imparare. Un concetto che deve essere ben chiaro ai più giovani, perché nella vita si deve reimparare continuamente. Fondamentale il concetto socratico del «so di non sapere»
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Lei ricorda il «so di non sapere» socratico, ma nei mesi della pandemia non sempre gli scienziati sono stati socratici.
La Scienza deve avere il coraggio di dire che per alcune domande non ci sono risposte e che il metodo scientifico si fonda proprio su un processo in continuo divenire. Durante la pandemia bisognava avere la capacità di saper riconoscere che per alcune domande non avevamo risposte certe o che alcuni concetti si sono evoluti e modificati rispetto alla fase iniziale. Ad esempio, i vaccini: si pensava che potessero conferire una immunità sterilizzante utile a ridurre o bloccare la circolazione del virus. Invece, conferiscono una immunità da malattia grave. Si deve avere l’onestà intellettuale di dirlo e riconoscerlo, a dimostrazione che le domande trovano progressivamente risposte e le risposte, correzioni. Dobbiamo fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per ridare autorevolezza e dignità alla scienza e alla cultura, partendo da un lavoro continuo di diffusione che permei le coscienze, soprattutto quelle dei giovani. Un Paese che non crede nella scienza e nella cultura, non crede nell’innovazione e nel progresso.

Al di là del dolore e della sofferenza, ricordo in particolare le «nostre» due province di Bergamo e Brescia tra quelle che hanno pagato prezzi molti alti, la pandemia ha avuto anche effetti positivi?
Resterà un patrimonio di questo Paese il dialogo fondamentale che si è instaurato tra scienza e decisore politico. In questo risiede l’integrità della Scienza: il dovere di fornire risposte basate sull’evidenza e di confrontarsi nell’interesse del Paese. Due cose, in particolare, rimarranno come stella polare. Da una parte, la percezione che non esiste benessere economico e sociale senza la tutela della salute. Per questo, ritengo sia importante investire in sanità e tutelare il più possibile il Servizio sanitario nazionale. Dall’altra, abbiamo capito ancora di più quanto sia fondamentale il confronto e il dialogo stretto tra Scienza e politica. Aspetti che non erano presenti in modo così strutturato come lo sono stati durante i mesi della pandemia. Solo dialogando, nel rispetto dei differenti ruoli, i decisori si trovano nelle migliori condizioni di decidere per il bene di tutti.
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