Legge 194, la mozione veronese divide e accende anche a Brescia

La prevenzione dell’aborto e il sostegno alla maternità già previste dal ’78. Ma mancano i consultori
In calo. Gli aborti nel Bresciano sono in forte calo
In calo. Gli aborti nel Bresciano sono in forte calo
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Gli animi si accendono subito, quando si parla della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, sebbene siano trascorsi più di quarant’anni dalla sua approvazione, avvenuta in Parlamento nel maggio 1978.

Poi, addirittura, si surriscaldano se, come è accaduto lo scorso giovedì in consiglio comunale a Verona, una consigliera del Partito democratico vota a favore di una mozione, presentata dalla Lega, che impegna sindaco e giunta «ad inserire nel prossimo assestamento di bilancio un congruo finanziamento ad associazioni e progetti che operano nel territorio del Comune di Verona, ad esempio progetto Gemma e Chiara; a promuovere il progetto regionale "Culla segreta", stampando e diffondendo i suoi manifesti pubblicitari nelle Circoscrizioni e in tutti gli spazi comunali e a proclamare ufficialmente Verona "città a favore della vita"».

Segno che la ferita non si è mai rimarginata. E, come accade in questi casi, qualsiasi sollecitazione contribuisce a farla sanguinare, anche copiosamente. Le posizioni si spaccano, nettamente. Ma cosa è accaduto? La mozione titola: «Iniziative per la prevenzione dell’aborto e il sostegno alla maternità nel quarantesimo anniversario della legge 194/1978». La potete leggere in forma integrale nel documento allegato.

 

Per capire che, al di là delle premesse e delle considerazioni, l’«impegno» che la mozione chiede a chi amministra la città è già contenuto alla lettera d dell’articolo 2 della legge: «I consultori familiari... fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».

Con una sostanziale differenza: l’articolo della legge fa riferimento espressamente a consultori familiari pubblici, dando anche precise indicazioni sulla loro istituzione, e non ad associazioni e a progetti privati.

Negli anni, tuttavia, il numero dei primi è costantemente diminuito, mentre accanto alle donne sono rimaste soprattutto realtà private, spesso a carattere volontario. Come il Centro di aiuto alla vita che, tra la sede in centro storico e la realtà di riferimento «Dono» a Sanpolino, lo scorso anno ha seguito 557 donne in difficoltà. Di queste, 224 erano gestanti. I bambini che hanno visto la luce sono stati 170.

Ancora, la legge 194 dice che dovrebbe esserci un consultorio ogni 20 mila abitanti, in Lombardia ce n’è uno ogni 60 mila, con una presenza sul territorio che corrisponde allo 0,3 per cento. Dalla Regione, è recente l’impegno per aumentarli.

«Con i consultori pubblici, che ora sono ridotti per numero e per personale, abbiamo storicamente avuto un rapporto di contrapposizione ideologica: loro erano per l’applicazione della 194, noi per cercare tutte le strade percorribili per evitare l’aborto, dando alle donne una scelta alternativa all’interruzione di gravidanza.

Una scelta, non una costrizione - racconta Elisabetta Pittino del direttivo di Federvita Lombardia -. I rapporti sono migliorati con l’istituzione del fondo regionale Nasko per favorire la natalità ed evitare il ricorso all’interruzione di gravidanza per ragioni economiche. Anche in questo sostegno, vi è stata un’evoluzione, fino all’attuale bonus famiglia, più articolato e che rimodula le misure precedenti».

Il bonus famiglia viene erogato se entrambi i genitori sono residenti in Lombardia da almeno cinque anni consecutivi.

Dai dati sugli aborti volontari nel Bresciano, riferiti allo scorso anno, emerge che vi ricorrono 9,7 donne straniere ogni mille a fronte delle 3,7 ogni mille italiane. E sono soprattutto le straniere a non avere i requisiti per accedere a forme di aiuto che possano dare loro l’effettiva «libertà di scelta».

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