La «Generazione Ansia» e i tagli sui corpi degli adolescenti

Studio del Calabrone sugli studenti bresciani: l'ansia è condizione abituale per il 75% di loro, mentre il 12% pratica il self cutting
I TAGLI SUL CORPO
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Ci si taglia perché si è tristi o arrabbiati. Ci si taglia perché lo fanno gli altri, ci si taglia perché non ci si piace. Ci si taglia perché si sta male. 

È il «self cutting», fenomeno che va diffondendosi tra adolescenti e preadolescenti, soprattutto ragazze. Secondo una recente analisi, il 12,1% degli studenti bresciani tra i 17 e i 21 anni pratica tagli sul proprio corpo senza l’intenzione di uccidersi. 

Il dato fa parte della ricerca «Adolescenza e comportamenti a rischio», condotta nel 2015 dalla coop Il Calabrone per conto del Comune di Brescia tra 423 studenti degli istituti superiori della città. Il campione è per il 71,4% di sesso femminile, con il 12% di stranieri. Il 68% degli intervistati ha un’età tra i 18 e i 19 anni e frequenta Cfp o istituti professionali, 40,2%, licei, 30,3%, e istituti tecnici, 29,6%. 

Dalle risposte emergono livelli significativi di ansia nel 74,9% dei casi, una tendenza più sviluppata tra le ragazze. Viene descritta come una condizione abituale e quotidiana, con cui convivere. Un’ansia «di tratto», già stabile nella personalità dei giovanissimi. Ciò si può tradurre in atteggiamenti aggressivi verso altre persone (39,2% tra le ragazze, 32,2% tra i ragazzi) o verso le cose. 

Ma nella «Generazione Ansia» c’è anche un’aggressività che sfocia nell’autolesionismo: un intervistato su tre dichiara di avere immaginato almeno una volta di farsi del male, uno su quattro ha pensato concretamente a come farlo e uno su cinque ha messo in pratica le proprie intenzioni. Tra questi, il 12% ha praticato tagli sul proprio corpo: tra le sole ragazze, il dato è del 14%. 

«I tagli sono fatti con vetro, lamette o temperini, solitamente su braccia, gambe e addome. Sono usati per gestire le emozioni negative e sono tutto sommato sdoganati. All’interno dei gruppi di pari questa pratica non è considerata patologica e viene condivisa anche sui social network». A parlare è Sara Micheli, neuropsichiatra infantile specializzata nella psicopatologia dell’adolescenza. «È un fenomeno che varia per frequenza o gravità, ma che non va assolutamente sottovalutato - spiega Micheli -, perché può essere precursore di altri disturbi. Dal punto di vista clinico, lo vediamo anche in relazione all’aumento degli interventi sulle azioni suicidarie». 

Nello studio emerge che il sostegno sociale può aiutare a resistere agli impulsi autolesionistici 66%), a partire da famiglia e amici (55%). «Cerchiamo di aiutare i ragazzi e le ragazze che incontriamo a lavorare sui fattori di protezione interni, per imparare a gestire le difficoltà, e esterni, per cercare l’appoggio di altri all’interno della famiglia, degli amici, del gruppo sportivo o dell’oratorio», racconta Angelo Mattei, responsabile del settore attività specialistiche del Calabrone. «Incontriamo genitori che a loro volta sono soli nell’affrontare i problemi e chiedono aiuto - prosegue -. Spesso abbiamo di fronte un disagio silente, che non si manifesta in modo diretto. Tutto sembra nella norma, ma in realtà c’è malessere profondo. Il self cutting, che resta nascosto, può rientrare in questi casi».

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