L’ideologia occulta dell'algoritmo di Facebook

In che modo Facebook decide quali pagine cancellare o sospendere? Difficile capirlo: il rischio di cadere in errore è dietro l'angolo
Il logo di Facebook - Foto Ansa/Ap/Richard Drew © Associated Press
Il logo di Facebook - Foto Ansa/Ap/Richard Drew © Associated Press
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Oltre alle mezze stagioni, sarebbero sparite anche le ideologie, si dice, ma come sosteneva Frederic Jameson (o Slavoj Žižek, a seconda dell’attribuzione) è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Le reazioni ai pericoli causati dal cambiamento climatico lo dimostrano ampiamente. L’ideologia c’è, insomma, ma non per forza si vede. Il che la rende naturalmente più insidiosa, difficile da comprendere, da accettare o da contrastare.

Nei giorni scorsi, Facebook ha oscurato le pagine di alcune testate o organizzazioni, compresa la bresciana Radio Onda d’Urto, in quanto colpevoli di sostegno ai curdi. Se l’accusa vi sembra vaga, difficilmente appellabile, è perché in effetti lo è: un articolo sul Pkk, una foto dei funerali di Lorenzo Orsetti in cui compaiono immagini di Ocalan, basta davvero poco per cadere in errore. E poi, quale errore? L’attacco turco ai curdi è stato condannato a livello internazionale, Ue compresa, non si capisce dunque dove sia la colpa. Qual è l’ideologia dell’algoritmo? Impossibile saperlo.

In contemporanea, Facebook lascia online articoli e video contro questa censura, forse perché, tutto sommato, anche chi protesta contro la mancanza di trasparenza del social è pur sempre un cliente, che ha spesso, non sempre, ragione.

Facebook è un’azienda privata, vero, con però un enorme interesse pubblico. E si comporta, di fatto, come un editore. Sarebbe utile capire quali norme segue. Ha oscurato ad esempio anche le pagine di CasaPound e Forza Nuova: per le leggi Scelba e Mancino queste organizzazioni non dovrebbero nemmeno esistere, ma sono vive e vegete e si presentano pure alle elezioni, pubblicando al tempo stesso contenuti che violano però le norme della piattaforma di Zuckerberg. Il caos è evidente. Nell’algoritmo, in chi lo gestisce e in noi. Confondi et impera: il tasto «non mi piace» non c’è.

 

 

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