Ipotesi riapertura delle miniere: nel Bresciano i siti sarebbero 12

L’obiettivo del governo è quello di reperire alcune materie prime sempre più introvabili
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SECONDA VITA PER LE MINIERE?
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«Miniere d’Italia, apritevi», sembra declamare il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Le sue parole sul «rischio elevato di approvvigionamento delle materie prime critiche» e sull’ipotesi di riaprire le miniere dismesse nel XX˚ secolo sembrano tracciare il solco del futuro energetico del Paese e puntano l’attenzione sui maggiori giacimenti italiani (compresi quelli disseminati nel Bresciano), che ora diventano piccole oasi di tesori da riscoprire.

Nel mirino del governo ci sono infatti quelle miniere che fino a qualche decennio fa estraevano alcune delle risorse che oggi la Commissione Europea definisce «critiche» perché sempre più introvabili.

I numeri

Nella lista diramata a marzo i materiali indicati come strategici per la transizione digitale e lo sfruttamento delle energie rinnovabili sono 34. «Di queste, 16 si trovano nel nostro sottosuolo», ha spiegato Urso.

Incrociando materiali rari e natura estrattiva dei giacimenti nostrani, da una mappatura dell’Ispra emerge che nel Bresciano sono ben 12 le vecchie miniere che tra il 1870 e il 2002 hanno estratto fluorite, barite, manganese e argento e che oggi sarebbero potenzialmente interessate dal progetto di riapertura ipotizzato dal ministro. 
Nel solco della grande tradizione estrattiva della provincia, i territori coinvolti sono la Valtrompia (con giacimenti a Bovegno, Collio e Pezzaze) e la Valcamonica (a Cerveno, Pisogne e Capo di Ponte).

Ad estrarre fluorite erano infatti i minatori di Costa Ricca e Costa Bella (di proprietà della «Mineraria Prealpina», furono dismesse nel 1904), della miniera San Zeno di Pisogne (dei Fratelli Marzoli, attiva fino al 1950, ex centro di ricerca), della San Colombano di Collio (ex centro di ricerca della Montecatini-Edison, ha funzionato dal 1953 al 1959). 

Si è scavata invece barite per 132 anni (dal 1870 al 2002) alla Sant’Aloisio di Collio, per 91 (dal 1866 al 1957) nella Val Rizzolo a Pisogne, per 21 (1938/1959) a Tenerle di Capo di Ponte, mentre a Giovo di Cerveno dal 1952 al 1954. E poi ci sono le miniere ibride: ne La Longa di Pisogne della Mineraria Siderurgica Ferromin negli anni Cinquanta si estraevano barite e minerali del manganese, alla Marzoli di Pezzaze del Consorzio minerario Barisella tra il 1947 e il 1974 si lavorava per ricavare fluorite e barite, per cinquant’anni la Torgola di Collio e Torgola Navazze della società Fluormine hanno estratto fluorite e argento, infine la miniera Alfredo di Bovegno (della Mineraria S. Aloisio) ha funzionato dal 1885 al 2002 alla ricerca di fluorite e barite.

Tradizione

Eccole, le testimonianze del sottosuolo che raccontano la tradizione industriale del Bresciano e la sua stessa storia di sviluppo. Oggi affrontano seconde vite diverse, tra aperture al pubblico, tentativi di valorizzazione turistica e abbandoni nel buio della Terra. 

Ma per il ministro Urso - che ha già la trivella in mano ed è molto ottimista sui tempi di realizzazione della strategia mineraria - alcune di esse potrebbero tornare a raccontare il presente e non più solo a ricordare il passato. «Trent’anni fa eravamo un grande Paese minerario - ha detto -. Ora dobbiamo riaprirle. Stiamo già aggiornando le mappe minerarie». 

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