Inchiesta Covid, i dubbi di Mentana: «Vogliamo davvero punire senza leggi mirate?»

Il direttore di Tg La7 è stato intervistato a Messi a fuoco su Teletutto. Confronto con Maddalena Oliva, vicedirettore del Fatto quotidiano
Messi a fuoco: la puntata del 10 febbraio sull'inchiesta Covid
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«Ci troviamo di fronte ad una situazione mostruosa e terribile che sicuramente poteva essere affrontata con maggiore tempismo e capacità decisionale. Ma noi vogliamo davvero punire questo, in assenza di leggi mirate, di norme del Codice penale mirate su questo?». Enrico Mentana ha molti dubbi. Il direttore del tg di La7 è intervenuto venerdì sera nella trasmissione di Teletutto Messi a fuoco, condotta da Andrea Cittadini, che si è occupato dell’inchiesta sulla gestione dei primi mesi della pandemia da Covid, portata avanti negli ultimi tre anni dalla procura di Bergamo.

Nei giorni scorsi il procurato capo del capoluogo orobico, Antonio Chiappani, ha notificato a diciassette persone la chiusura indagini, tra le quali l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro della Sanità, Roberto Speranza, Attilio Fontana e Giulio Gallera per la regione Lombardia.

«In quei terribili giorni - ha detto Mentana -, abbiamo tentennato tutti. È questa la questione di fondo. Il mio carissimo amico Giorgio Gori, sindaco straordinario di Bergamo, come tutti noi, all’inizio diceva “cerchiamo di vivere”, di non farci rinchiudere dalla paura».

Una posizione in contrasto con quella di Maddalena Oliva, vicedirettore del Fatto quotidiano, intervenuta in diretta, convinta, al contrario di Mentana, «che in quei primi giorni, verso la fine di febbraio 2020, chi gestiva l’emergenza sapeva molte cose, di cui noi veniamo a conoscenza solo oggi grazie a questa inchiesta, che dovevano indirizzare alcune scelte in altre direzioni. Scelte che non sono state prese. Quanto l’assenza di certe decisioni abbia influito nella diffusione del virus e nel numero dei morti, e quali siano, se ci sono, le responsabilità soggettive, dovrà dircelo questa inchiesta».

Durante la puntata è stata analizzata la relazione del professor Andrea Crisanti, consulente della procura di Bergamo, sulla quale si basa l’impianto accusatorio dell’inchiesta, in particolare il ritardo nell’adozione delle zone rosse e la decisione di non utilizzare il piano pandemico del 2006, come chiesto dall’Oms il 5 gennaio 2020, un mese e mezzo prima che il virus travolgesse l’Italia.

«Seppur datato - ha detto Piero Pasini, legale dei familiari vittime di Covid che hanno presentato l’esposto contro la gestione della pandemia, ospite in studio - il Piano avrebbe garantito di innalzare un muro contro lo tsunami. Muro che non avrebbe retto, ma avrebbe arginato in parte la diffusione». Secondo la relazione di Crisanti se il lockdown fosse stato adottato il 28 febbraio 2020, anziché l’8 marzo, sarebbero morte solo in provincia di Bergamo 4158 persone in meno.

Sarà ora il tribunale di Bergamo a decidere se l’impianto accusatorio della Procura regge e se ci sono tutti gli elementi per imbastire un processo che faccia chiarezza su quei primi giorni della pandemia.

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