Imparare dal VentiVenti una lezione di orgoglio

Un occhio all’anno che si chiude; un altro a quello che si apre. Affiancando a questo strabismo funzionale capacità analitica e progettuale, senza faziosità e con coraggio. Una sfida tra le sfide per trovare l’essenza del ciclo che si chiude ma che ritroveremo anche dopo, in quello che si apre domani. Perché nell’ora zero non c’è cesura netta, ma travaso dell’essenziale. Ci sono un prima e un dopo, strettamente connessi. Vale la pena delinearla, quest’essenza, conoscerla meglio, rivalutarne i rischi oltre che le potenzialità. Che ci sono. Magari nascoste, ma ci sono. Proviamoci: guardiamo indietro, a questo anno VentiVenti, l’anno del Covid. Annus horribilis, eppure anno maestro.
E qui sta la prima sfida: trovare il senso del vissuto, scovarne le lezioni più o meno mascherate, farne tesoro e applicarle nel quotidiano per poterne verificare i benefici. Non è facile, dopo tanto dolore, tanti lutti, tanta fatica, privazioni e socialità impedita. Eppure lo sforzo va compiuto. Perché proprio quel dolore e quella fatica ci hanno svelato l'essenziale, spazzando via orpelli inutili, problemi vacui. Al centro noi, con i nostri bisogni, le nostre fragilità. Ci piaccia o no, ci sono state, ci sono e ci saranno. Non se ne andranno neppure con la ramazza della Befana. Anzi.
All’emergenza sanitaria già vissuta con i suoi effetti devastanti, a cascata si sommeranno presto le conseguenze sul piano economico e sociale. Già ne abbiamo testato i primi effetti: ripresa lenta e carica di incertezze; posti di lavoro in bilico; impennata di nuove povertà e un clima di sfiducia che va trasmutato in azione. Eppure c’è una lezione-maestra, in questo anno VentiVenti, che come italiani - ma soprattutto come bresciani - abbiamo sperimentato e vissuto sino in fondo: sul braciere della paura e del dolore ci siamo sentiti parte di un tutt’uno, abbiamo cancellato le differenze, sgretolato i muri, abbiamo reagito con una forza sorprendente vivendo appieno dolori e gioie, fatiche e conquiste. Tutti per tutti. Con risultati concreti e un’energia contagiosa capace di autorigenerarsi. Abbiamo saputo «fare sistema» - mettendo ciascuno a disposizione risorse, peculiarità e intelligenze proprie - dando vita al detto trito e ritrito che sembrava relegato al dizionario della retorica. Abbiamo «fatto sistema» per davvero. E non solo con aiutiAMObrescia: 60mila donazioni per oltre 18 milioni di euro a sostegno della rete socio-sanitaria dell'intera provincia. Abbiamo saputo «fare sistema» negli ospedali, nelle strutture protette, nelle famiglie, nelle scuole, nelle aziende, nelle associazioni.
Tutto è andato bene? Certo che no. L’anno VentiVenti, anno del Covid, è stato un acceleratore di esperienze, in positivo e in negativo. E sappiamo perfettamente che non andrà tutto bene neppure nell’anno VentiVentuno. Ma abbiamo qualche consapevolezza in più su cui poggiare il nostro domani: l’ineluttabilità della vulnerabilità nostra e del pianeta che ci ospita; la presa d’atto dei limiti dell’uomo e anche della scienza; la forza - vincente - dei modelli di solidarietà partecipata e di responsabilità condivisa, che non equivalgono al pensiero unico, si badi bene, bensì all’obiettivo unitario: il bene comune. Da perseguire smussando le differenze ed enfatizzando le assonanze, mettendo da parte personalismi e minutaglie perché gli sforzi - di tutti - vanno concentrati sul fiume che scorre, non sui rivoli che peraltro spesso vanno in secca.
L’abbiamo saputo fare durante l’emergenza del VentiVenti; sapremo, dovremo saperlo fare anche nel VentiVentuno. Con lo stesso orgoglio. Gli ingredienti necessari sono accettazione e superamento dei limiti nostri e altrui, condivisione delle idee, coraggio nelle scelte, rigore e trasparenza delle azioni. Per tutti, nessuno escluso. Vale per la grande politica ma anche per ciascuno di noi. Se sapremo adottare questo stile, sarà possibile rileggere l'anno VentiVenti con occhi nuovi, anche per chi li ha chiusi per sempre. E vivere con senso rinnovato - anche in loro memoria - l'anno VentiVentuno. Che le ali della «nostra» Vittoria ci consentano di volare alto.
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