Il vezzoso capulì, lo spensierato ridicì

La rivalità ci appassiona da sempre, ci schieriamo anche con immotivata e inopportuna veemenza da una parte o dall’altra, e allora o è Coppi o è Bartali, per proseguire con Valentino Rossi verso Max Biaggi, e ancora Maradona e Pelè, Albano e Romina, Topo Gigio e il mago Zurlì, per arrivare fino a Caterina Balivo e Bianca Guaccero (questa l’ho scoperta scrivendo «rivalità» su Google).
Ogni ambito dello scibile umano (mi scuso per lo sfoggio di finta cultura) offre spunti di contrapposizione, preferite il cane o il gatto? È meglio mangiare sushi o qualsiasi altra cosa commestibile esista sulla terra?
Il capulì, rossiccio e croccante, più vivacemente amarognolo, è più smaccatamente snob, può infatti essere gustato anche con una punta di aceto balsamico. Il ridicì invece è più sinceramente paesano, con quel suo sapore da gita fuori porta in compagnia di uova e salame. Entrambi sono della famiglia dei radicchi, ed entrambi ne sono il cuore, le foglie più tenere. E proprio al cuore si deve attingere per la scelta del preferito, perché se i capulì sono la parte più pregiata del radicchio rosso, i ridicì si ottengono tritando finemente (mia nonna ha una maestria ineguagliata) il cicorione pan di zucchero. Non devo aggiungere altro.
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