Il vezzoso capulì, lo spensierato ridicì

Una sfida dal sapore profondamente bresciano
Capulì e ridicì - © www.giornaledibrescia.it
Capulì e ridicì - © www.giornaledibrescia.it
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La rivalità ci appassiona da sempre, ci schieriamo anche con immotivata e inopportuna veemenza da una parte o dall’altra, e allora o è Coppi o è Bartali, per proseguire con Valentino Rossi verso Max Biaggi, e ancora Maradona e Pelè, Albano e Romina, Topo Gigio e il mago Zurlì, per arrivare fino a Caterina Balivo e Bianca Guaccero (questa l’ho scoperta scrivendo «rivalità» su Google).

Ogni ambito dello scibile umano (mi scuso per lo sfoggio di finta cultura) offre spunti di contrapposizione, preferite il cane o il gatto? È meglio mangiare sushi o qualsiasi altra cosa commestibile esista sulla terra?

Ero amabilmente attovagliato con un gruppo di amici in una trattoria rusticamente deliziosa, dove le stelle sono soltanto quelle che luccicano in cielo, all’improvviso un commensale mi pone di fronte al dubbio: tu preferisci i capulì o i ridicì? Un dilemma amletico (mi scuso nuovamente), entrambi sono profondamente bresciani.

Il capulì, rossiccio e croccante, più vivacemente amarognolo, è più smaccatamente snob, può infatti essere gustato anche con una punta di aceto balsamico. Il ridicì invece è più sinceramente paesano, con quel suo sapore da gita fuori porta in compagnia di uova e salame. Entrambi sono della famiglia dei radicchi, ed entrambi ne sono il cuore, le foglie più tenere. E proprio al cuore si deve attingere per la scelta del preferito, perché se i capulì sono la parte più pregiata del radicchio rosso, i ridicì si ottengono tritando finemente (mia nonna ha una maestria ineguagliata) il cicorione pan di zucchero. Non devo aggiungere altro. 

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