Il secolo di Gino, il paracadutista sopravvissuto a El Alamein

Compagnoni ha compiuto 100 anni. Nato a Borgo Trento, ha avuto una lunga carriera da sindacalista per la Cisl
Gino Compagnoni con Giorgio Napolitano
Gino Compagnoni con Giorgio Napolitano
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Chi ha scritto che non importa quanti anni vivi ma la vita che metti in quegli anni non ha conosciuto Gino Compagnoni, che mercoledì scorso ha compiuto 100 anni, un secolo vissuto ad alta velocità. Gino è riuscito ad essere un eroe non nel senso algido della retorica, ma con la complessità dei miti greci: come Achille è partito per una guerra che non aveva voluto, come Ulisse ha peregrinato prima di tornare a casa, come Enea si è preso sulle spalle la famiglia e la sua città negli anni del Dopoguerra.

Compagnoni nato in quel quartiere pulsante di vita che è Borgo Trento, lascia gli studi liceali per fare l’operaio, perché deve mantenere i suoi cari; il padre, antifascista, era stato costretto all’esilio in Francia, dove si spegnerà nel 1935. Quella di Gino è comunque una vita piena: la musica appresa all’istituto Venturi e l’esperienza nella banda cittadina, gli amici e i tuffi nel Mella a Ponte Crotte. Sui suoi vent’anni si allarga, però, l’ombra torva della Seconda guerra mondiale. Il «gnaro» di Borgo Trento parte, con gli spartiti della sua amata musica nel tascapane: inizialmente è, infatti, nella banda reggimentale di Milano. Albania, Grecia ed, infine, Africa Settentrionale, ad El Alamein, paracadutista con la Folgore.

Di questa tremenda battaglia, passata direttamente dalla storia al mito, Gino parla raramente e, sempre, con quell’estremo pudore del reduce. Possiamo immaginare, però, quel ragazzo in una buca di sabbia, dentro ad un campo minato, in attesa di un rancio che a volte non arriva, mentre centinaia di carrarmati e avversari si riversano ad ondate sulla sua postazione, in giornate calcinate dal sole e notti a vegliare i corpi dei caduti. In uno degli ultimi attacchi viene fatto prigioniero perché, mentre intorno è un ruggito di mezzi corazzati, sibili di proiettili e grida, potrebbe ritirarsi ma rimane, a medicare il tenente Ferruccio Brandi, il suo comandante. Quattro anni di prigionia, in Egitto, Palestina e quindi India.

Gino tornato a casa, nel 1946, in un’Italia da ricostruire, mette su famiglia e torna a lavorare come operaio alla Sant’Eustacchio, avviandosi, poi, ad una lunga carriera come sindacalista, in Cisl, dal 1947 al 1993. Trova anche tempo ed energie per giocare a calcio. Nel 1972 è nominato Cavaliere al merito della Repubblica. Con la pensione ritorna la passione della giovinezza: il paracadutismo. Scrive due libri di memorie, viene eletto presidente onorario della sezione bresciana dei paracadutisti e prossimo ai novant’anni si lancia da un aereo. Arriva anche il tempo del ricordo: torna ad El Alamein e ritrova quel tenente Brandi che negli anni era diventato generale.

 

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