Il saluto del sindaco Del Bono a Brescia: «I 10 anni che hanno cambiato il volto della città»
Come nei film, vicino alla scrivania nell’ufficio del sindaco a Palazzo Loggia c’è un grosso scatolone nel quale Emilio Del Bono sta riponendo piccoli e grandi ricordi dei suoi dieci anni da primo cittadino. Sul tavolo c’è un libro di Ippolito Nievo «Scritti garibaldini», ma lui mostra un librettino microscopico che si scopre essere una Costituzione in miniatura. «Me l’ha regalata una signora il giorno della mia vittoria nel giugno 2013 dicendomi: "Nei momenti di difficoltà cerchi conforto in questa"».
Mancano ormai una manciata di giorni e poi con la dichiarazione di decadenza Del Bono non sarà più sindaco.
Come vivrà il momento in cui si chiuderà la porta di questa stanza alle spalle per l’ultima volta?
Già in questi giorni c’è una mescolanza di emozioni contraddittorie. Da una parte sento l’esigenza di alleggerirmi un po’ dalla responsabilità quotidiana, perché in questo posto ci ho vissuto tutti i giorni per dieci anni, per più di 12, 13, 14 ore al giorno. Fare il sindaco è totalizzante e non si può fare a meno di esserlo 24 ore al giorno, perché spesso c’è anche l’insonnia, ti svegli di notte e ti chiedi se certe cose le hai fatte correttamente.

Dall’altra ci sarà un po’ di malinconia perché fare il sindaco vuol dire vedere che puoi cambiare la qualità della vita degli altri, magari con un nuovo parco o con opere pubbliche. La politica fatta ad altri livelli, dalla Regione al Parlamento, non ti permette di avere una misurazione così brutalmente diretta del proprio operato.
Mi può fare un bilancio dei suoi dieci anni da primo cittadino di Brescia?
È difficile che sia io a fare un bilancio. Lo faranno molto meglio di me i cittadini che ci hanno osservato e che hanno visto come ci siamo mossi e quali scelte abbiamo fatto.
Però posso dire che sono stati dieci anni molto proficui per la nostra comunità, in cui abbiamo avuto una visione strategica, ovvero siamo stati in grado di immaginare una città del XXI secolo. E l’abbiamo indirizzata su questa strada. Io vedo Brescia oggi molto più forte di quanto non fosse dieci anni fa e come un potenziale laboratorio di eccellenza nazionale. E la vedo soprattutto come una città di modello europeo.
Mi ha detto della città. E lei come è cambiato?
Molto. Penso in questi dieci anni di essere cambiato in meglio, sono diventato meno astratto, ho compreso di più che ci sono tante sfumature tra il bianco e il nero, che la vita non è sempre lineare. Questo è uno strano mestiere in cui ciò che fa la differenza è l’incontro con le persone. Poi certo contano le scelte che fai, gli investimenti e anche le opere pubbliche che realizzi. Però io sento di essere cambiato perché ho avuto la fortuna di conoscere migliaia di persone, perché ho frequentato luoghi pieni di energia come le scuole e perché ho capito più in profondità che cosa sia la mia città.

Della mia esperienza do un giudizio positivo perché è vero che ci sono le critiche, le polemiche, le fatiche e i momenti di scoraggiamento, ma ciò che prevale è la straordinaria energia di umanità e la fiducia che ho ricevuto da parte dei miei cittadini, l’ho sentita e ho cercato di farne un buon uso in questi anni. Ho avuto tanto sostegno da parte dei miei cittadini, più di quello che molte volte all’esterno appare. Una corrente calda, un qualcosa che razionalmente non si può spiegare. Scattano a volte delle magie tra chi amministra e i propri cittadini.
In un’intervista di qualche anno fa aveva dichiarato di essere un accentratore, ma che questo tratto in fondo piace anche ai bresciani. Ne è ancora convinto?
L’elezione diretta ha cambiato il profilo del sindaco, ma è chiaro che non si tratta solo di una questione di sistema elettorale. Se penso per esempio alle figure di Bruno Boni, di Cesare Trebeschi o di Piero Padula, faccio fatica a immaginare che non fossero essi stessi delle figure forti.
Il sindaco è molto esposto nella destinazione delle critiche, ma lo è anche nella sua funzione pedagogica, perché svolge una funzione educativa. Spiega ai cittadini cosa sta facendo, costruisce un sistema di valori per la propria amministrazione che siano un punto di riferimento anche per la collettività. Ma quei valori non li inventa lui, li recupera e li assimila dalla propria comunità. Però fa pedagogia.
Un amministratore fa bene il suo mestiere se di fronte ad una frizione cerca la soluzione e non esaspera le divisioni. Il presidente Mattarella lo spiega, dice con un’espressione che io ho sempre sposato "Mi piacciono le stagioni dei costruttori".

Credo di essere stato un sindaco costruttore di relazioni, non ho mai alimentato delle rotture ingiustificate, ho sempre cercato di immaginare una strada pacifica. In questi dieci anni la città ha vissuto con serenità, ma ha avuto anche momenti drammatici. La pandemia, il Covid delle regole, l’irruzione di una stagione del tutto inedita dopo la guerra, con la totale mancanza di socializzazione. Anche in quella stagione ho fatto prevalere sempre la strada dell’unità della comunità con un richiamo costante alla generosità, alla responsabilità collettiva e a quella verso gli altri.
Quali sono stati i momenti più difficili del suo doppio mandato se escludiamo il periodo del Covid?
L’inizio del mio mandato nel 2013 è stato difficile perché ci trovavamo di fronte ad una condizione molto critica dei conti comunali per cui non eravamo in condizione di garantire prestazioni di servizi come invece la città si meritava; per quello abbiamo dovuto immaginare un nuovo equilibrio economico finanziario.
Abbiamo dovuto fare delle alienazioni e cedere delle quote di partecipate, insomma ci siamo messi al lavoro restituendo alla città dei fondamentali che le permettessero di guardare con serenità al futuro. In quel momento abbiamo dovuto rimettere in moto la città perché era ferma. Giravo per i quartieri con il pandino del Comune e non vedevo una gru o un cantiere. Perché i cantieri possono anche risultare scomodi per i cittadini, ma c’è da preoccuparsi di più quando non ce ne sono, perché vuol dire che la città si sta fermando.
Avrà sicuramente dei rimpianti per opere e progetti che non sono stati realizzati.
Sicuramente mi è dispiaciuto per lo stop alla realizzazione del Museo dell’industria e del lavoro. È vero che lo rifaremo, ma avremmo potuto già vederne la realizzazione se non ci fosse stato l’incidente di una società che è entrata in crisi.
Oppure penso alla bonifica del sito industriale della Caffaro e alla sua dismissione: abbiamo cercato i soldi, preparato un piano operativo di bonifica con il commissario e messo in fila tutte le condizioni per poter partire. Dopo Pasqua verrà pubblicata la gara, ma mi sarebbe piaciuto vedere fisicamente l’avvio di quegli smantellamenti. Qualcosa è già avvenuto, ma il grosso sarà realizzato sicuramente tra il 2024 e il 2025, quando quel luogo, per una sorta di contrappasso dantesco, diventerà un’area verde e diventerà un parco pubblico.
E i momenti esaltanti in dieci anni?
Ce ne sono stati tanti. Ho provato delle emozioni molto forti quando all’inizio del mio mandato abbiamo bonificato il giardino della scuola Deledda, o il parco del quartiere 1º Maggio. In quella circostanza c’era il presidente del Consiglio di Quartiere del 1º Maggio che mi ha detto «Sai, io l’ho sempre visto chiuso». Sono stato emozionato quando abbiamo restituito il campo Calvesi ai cittadini, ricordo i bambini con i palloncini e con la voglia di ritornare a correre lì.
Ci sono stati momenti emozionanti quando è arrivata la Vittoria Alata restaurata, quando abbiamo riaperto la Pinacoteca Tosio Martinengo. Poi volevo che riaprisse il Museo del Risorgimento perché considero il Risorgimento italiano importantissimo, un momento di identità epico nella costruzione dell’identità italiana e nazionale.
Ma se devo dire la verità le emozioni più grandi le ho vissute in rapporti spesso anonimi cioè quando mi hanno fermato le persone e mi hanno semplicemente ringraziato per quello che ho fatto da sindaco. Questi incontri ti caricano di gratificazione ma anche di responsabilità.
Che rapporto ha avuto con i suoi assessori e con l’intera macchina comunale?
Il Comune ha la fortuna di avere tante brave professionalità, persone per bene che ti aiutano molto a fare le scelte tecniche giuste. Ho sicuramente avuto la fortuna di avere avuto una maggioranza sia nel primo che nel secondo mandato che mi ha sostenuto.

Ho lavorato benissimo con le persone che hanno composto le Giunte pur con profili, caratteri e sensibilità molto differenti tra loro. La critica che mi è stata mossa è che a volte avrei dovuto esprimere più esplicitamente il mio giudizio e il mio apprezzamento. Colgo l’occasione per dire alla città che è stata fortunata: ha avuto tanti bravi amministratori ma anche tanti bravi funzionari e dirigenti e ha un patrimonio di competenze, di umanità molto grande.
Da quando è stato eletto è passata una più o meno generazione. Cosa vuole dire ai giovani?
Quando ho iniziato a fare il sindaco c’erano bambini che facevano la quinta elementare e che oggi fanno la maturità e quindi si apprestano ad andare all’università. Il messaggio che do è di avere fiducia, innanzitutto, in loro stessi, nelle loro energie, attitudini e capacità. "Abbiate fiducia negli altri, nelle persone che incontrate e solo nel caso in cui vi tradiscano in maniera palese, togliete la fiducia, ma partite non da un pregiudizio, ma da un atteggiamento positivo e propositivo verso le persone che intorno a voi si muovono, dai vostri amici fino alle persone che incontrate nelle attività professionali, nella scuola, nei luoghi di socializzazione". Perché è importante avere questo approccio? Perché porta lontano.
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