Il pulsare della morra e i fonzarilì nell'erba

Di chi fidarsi davvero? Chiediamolo a Cicerone
Funghi nell'erba
Funghi nell'erba
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«Cìc! Cés! Quàter. Mùra!» Le dita balenano rapide sul tavolo dell’osteria. Il ritmo cresce col tono della voce dei due contendenti. La velocità favorisce la confusione e c’è chi magari ne approfitta: prova a «mèter zó» due dita e mezza. Pronto a giurare che fossero solo due, o invece proprio tre, a seconda della puntata. Un tempo la cosa poteva finire in rissa. Le focose partite a mùra mi sono tornate in mente alcuni giorni fa grazie al concorso di poesia dialettale promosso dalla Fondazione Civiltà Bresciana.

Tra i componimenti premiati (il video dell’intera cerimonia è visibile anche nella sezione dedicata a Dialèktika) c’era «El vùl de la poiàna» di Marco Gatti (al minuto 21 e 41 secondi). Che nel descrivere la natura animata di un prato racconta di «fonzarilì töcc culuràcc che smiciàa curiùs».

L’immagine di funghi che sbirciano da sotto l’erba la trovo particolarmente felice. E felice sono stato io nel reicontrare il verbo smicià, che avevo scordato da tempo. Smicià è lo sbirciare furtivo, il guardare di sottecchi. È parente dell’italiano «ammiccare» ed entrambi hanno un antenato comune nel latino «micare».

Che duemila anni fa i romani utilizzavano per indicare l’atto di brillare, balenare, pulsare. Ma anche del giocare a morra. «Dignus est quicum in tenebris mices» scriveva Cicerone. Degno di fede è l’uomo col quale saresti disposto a giocare a morra al buio. Tanto sai che col pulsare delle dita non imbroglierebbe mai. Come mai imbroglia la parlata dei nostri nonni. Scrigno inesauribile di ricordi che sbirciano da sotto la polvere del tempo.

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