«Il meglio di noi per battere il peggio del Covid»

La dedizione oltre le paure nel racconto di due infermieri, marito e moglie, al lavoro alla Poliambulanza di Brescia
La Poliambulanza di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
La Poliambulanza di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Prosegue la pubblicazione delle testimonianze di «Cuori in prima linea», l'iniziativa promossa da Giornale di Brescia e IntesaSanPaolo: abbonamenti trimestrali gratuiti al GdB in versione Digital e la possibilità riservata sempre al personale sanitario che ha affrontato la pandemia in tutta la sua durezza - professionale e psicologica - di raccontare le storie vissute durante la pandemia per farne un prezioso patrimonio di testimonianze da preservare.

Le storie possono essere inviate all'indirizzo email cuorinprimalinea@giornaledibrescia.it.

 

Se un giorno a nostro figlio verrà raccontato il Covid vorremmo sapesse cosa questo periodo ha portato di cattivo e di buono in quel mondo chiamato ospedale. Noi, moglie e marito, due infermieri, rispettivamente con 10 e 11 anni di rianimazione sulle spalle, nella testa e soprattutto nel cuore. Quando lavori-vivi in una rianimazione per tanti anni, pensi di averle viste e vissute tutte, perché in fondo è così; nessuno meglio di noi sa chi e cosa passa in questo reparto, quante batoste si prendono e quante rinascite si hanno; nessuno meglio di noi sa di quanti numerini, macchinari, studi, valori, farmaci e assistenza ha bisogno un corpo per sopravvivere o tentare di sopravvivere ai maggiori scossoni che accadono nella vita. Eppure, dalla metà di febbraio tutto è cambiato, ci siamo accorti che non avevamo visto e vissuto tutto e tutt’ora se riguardiamo indietro ci chiediamo «ma cosa diavolo è successo?». Se mesi prima ci avessero detto quello che sarebbe accaduto, mai e poi mai avremmo creduto che una cosa simile potesse avvenire. È stata una guerra che ha portato tanti morti e altrettanti feriti, nel corpo e nella mente. Chi moriva, moriva solo; chi sopravviveva, sopravviveva solo.

 Noi eravamo gli unici affetti possibili, ma chi eravamo noi per queste persone? Nessuno e tutto. All’inizio la fatica e il dolore per noi era soprattutto fisico, lavorare bardati da capo a piedi per ore ed ore, con quei camici pesanti, quelle mascherine che lasciavano i solchi, con il doppio o triplo strato di guanti, poi è arrivata la fatica e il dolore mentale, quando cominci a realizzare che è impossibile garantire a tutti il massimo dell’assistenza. Ma tutti dovevano avere una chance e noi dovevamo dargliela. Ma il Covid ha portato anche tante belle cose, ci siamo ritrovati a combattere tutti contro un unico nemico, fianco a fianco, con entusiasmo nonostante tutto tentasse di buttarci a terra. Abbiamo lavorato tutti insieme. Ognuno ha cercato di dare il meglio di sé perché il peggio era già intorno a noi, nessuno si è mai lamentato, nessuno si è mai tirato indietro nonostante la paura. Non dimenticheremo mai i morti, i feriti, i volti, le mani, non dimenticheremo mai la paura, l’ansia e la tensione, non dimenticheremo mai il caldo sotto quei camici, la mancanza d’aria sotto quelle maschere, non dimenticheremo mai la forza, l’unione, la complicità, la determinazione, non dimenticheremo mai, non è andato tutto bene, ma per ora è (quasi) andato. Speriamo per sempre.

Isabella Botticini e Francesco Pelizzari - Infermieri nel reparto di Rianimazione della Poliambulanza

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