Hina e quella tomba abbandonata senza volto e avvolta nell’erba

Il luogo dove è sepolta la giovane uccisa nel 2006 presenta segni di incuria, segnalati da una lettrice
Al Vantiniano. La tomba di Hina Saleem nel riquadro islamico
Al Vantiniano. La tomba di Hina Saleem nel riquadro islamico
AA

A fianco di un cespuglio, nascosta dall’erba troppo alta, con dei sassi a segnare il perimetro di una lapide che non esiste e senza nemmeno una foto, c’è la tomba di Hina Saleem.

 

 

 

 

«Troppo occidentale». Hina Saleem era nata il 19 dicembre 1985
«Troppo occidentale». Hina Saleem era nata il 19 dicembre 1985

Cimitero Vantiniano, riquadro islamici adulti, fila sei. Qui riposa la ragazza pakistana uccisa nell’estate del 2006 dal padre «perché troppo occidentale». Una tomba praticamente abbandonata a undici anni di distanza dal delitto che aveva sconvolto l’Italia intera, per una storia di cronaca simbolo di integrazione mancata.

«Ora, a suo ricordo pubblico c’è un praticello trascurato, arido, giallastro, incolto totalmente, piccolo piccolo; se va bene qualche vasetto di plastica rovesciato» è la segnalazione di una lettrice pubblicata sul nostro quotidiano nei giorni scorsi. Poche ore dopo la lettera al direttore sul luogo di sepoltura della giovane Hina, uccisa all’età di 21 anni, qualcuno posa dei fiori. Finti, ma pur sempre un segno di presenza. Ma non basta. E ne sono convinti anche i parenti più stretti di Hina.

«Vogliamo onorare Hina con una tomba vera» promette Suleman, il fratello 28enne della ragazza musulmana ammazzata l’11 agosto del 2006. Con la famiglia vive a Lumezzane, nella frazione di San Sebastiano, in un appartamento dove stanno in 15.

Madre, fratelli, sorelle, mogli e parenti vari. «Lavoro solo io, questo è il problema. Mancano i soldi, ma ogni mese risparmio quello che posso per costruire a Hina una lapide vera. In marmo». Dopo l’arresto e la condanna del padre a 30 anni di carcere è lui il punto di riferimento del nutrito gruppo familiare.

«Nessuno di noi ha dimenticato mia sorella» dice. «Ogni settimana andiamo a Brescia a fare vista a Hina». Gli mostriamo una fotografia scattata poche ore prima, testimonianza dello stato in cui si trova la tomba della sorella. «È vero, non può essere così» ammette.

«La foto di Hina però c’era, qualcuno l’ha strappata e assicuro che non siamo stati noi perché se avessimo voluto toglierla l’avremmo fatto dieci anni fa, non certo oggi. Domenica andremo al cimitero e la rimetteremo».

In casa l’immagine della 21enne è attaccata sulla parete della camera della sorella più piccola. «Di fatto non si sono conosciute, ma chiede sempre di lei». E poi c’è la madre che non ha mai nascosto di aver perdonato il marito. «Lo ha fatto per noi figli, per chi è rimasto» prova a giustificarla Suleman. La difesa e la promessa. «Mio padre ha sbagliato, ma è stato un gesto di rabbia e null’altro. Purtroppo è andata così» taglia corto.

 

 

In casa.  Il fratello guarda la foto della sorella uccisa nel 2006
In casa. Il fratello guarda la foto della sorella uccisa nel 2006

Nella casa dei Saleem nessuno parla di delitto «di una ragazza che voleva vivere all’occidentale». È una tesi che la moglie del padre assassino e neppure i figli hanno mai accettato. «È stata solo rabbia, Hina poteva fare quello che voleva» racconta il fratello diventato capofamiglia. Nell’abitazione di Lumezzane però tutte le donne vestono con abiti tradizionali, stanno un passo indietro all’uomo. Capiscono l’italiano, ma non lo parlano. «L’Italia è casa nostra e abbiamo ottenuto la cittadinanza» è il pensiero del fratello minore di Hina, cresciuto in fretta dopo l’11 agosto 2006. «E scrivete pure che ogni giorno penso a quello che è successo a Hina e con i risparmi onorerò al meglio la sua memoria».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia