Gli immigrati, la Leonessa e le sue paure

Alla fine per loro si apriranno le porte di un capannone in cemento prefabbricato nella zona artigianale di Flero, a settecento metri da Fornaci, quartiere di Brescia. Non si conoscono i loro nomi, e nemmeno le loro nazionalità. Solo il numero: 25 e non di più.
Un numero al quale è stato associato con difficoltà, in questa settimana in cui è prevalsa la preoccupazione per il loro arrivo sui «nostri territori», il sostantivo persone. Su tutto, anche questo fa male. Fa male pensare che Brescia e provincia, che sono tra le aree produttive più ricche d’Europa, non abbiano spazi e risorse per accogliere venticinque persone.
Fa male pensare che poco sia rimasto della sensibilità concreta delle nostre terre che hanno avuto, tra i loro meriti, un afflato internazionale di testimonianza civile e cattolica. Luogo di collaudata e consolidata capacità di mettersi in gioco, al servizio degli altri, nel mondo del volontariato e della cooperazione. Fa male pensare a san Paolo VI, il nostro papa, e alla «Populorum progressio», promulgata nel 1967.
Ci si deve interrogare su come abbiamo colto e accolto questo messaggio per smussare il divario tra i popoli dell’opulenza e quelli dell’indigenza. Se avessimo realmente, a tutti i livelli, operato secondo le preoccupazioni e le indicazioni di questo documento, è probabile che il flusso tragico dei migranti non sarebbe stato di questa sconcertante portata. Che ci trova impreparati. E inadeguati.
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A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
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