IL QUESTIONARIO / RISPOSTA 2
Giovani e pandemia: smartworking e Dad nuove opportunità

Molte le manifestazioni dei mesi scorsi sulla riapertura delle scuole
Problema o opportunità? Quel che è certo è che le limitazioni portate dalla pandemia hanno profondamente modificato - oltre a mille altri aspetti della nostra vita quotidiana e relazionale - anche il modo in cui in questi lunghi mesi ci siamo trovati a studiare e a lavorare. La necessità di evitare assembramenti, la difficoltà ad incontrarsi di persona, la necessità di portare avanti comunque le nostre attività ci hanno spinto ad utilizzare in modo massivo strumenti e soluzioni comunicative che già la tecnologia ci aveva offerto (dai webinar alla videochiamata, dal telelavoro alle form) ma che prima dell’esplosione del virus avevamo frequentato il meno possibile.
Se la prima domanda riguarda la mancanza dell’ambiente abituale nel suo complesso (comprensivo quindi dei locali e dei rapporti umani) la seconda (quella rappresentata dai grafici nella colonna di destra) si concentra proprio sulla modalità di espletazione della propria attività, studio o lavoro che sia. Concentriamoci su questo aspetto.
La didattica o il lavoro in presenza sono mancati più alle femmine («molto» per il 46% e «abbastanza» per il 24%) che ai maschi («molto al 40% e «abbastanza» al 24%). Una variazione si registra anche muovendoci fra i diversi segmenti di età: per gli studenti delle superiori il «molto» si attesta a quota 38%, compie un balzo all’insù fra gli studenti universitari (70%) e torna al 38% fra i lavoratori. Poche differenze invece tra quanti abitano in città e chi vive in provincia.
Insomma: a fronte di una maggioranza non «bulgara» di chi confessa di aver sofferto «molto» o «abbastanza» la Dad e il telelavoro, c’è una non banale minoranza alla quale le modalità tradizionali sono mancate «poco» o «nulla». E che testimoniano come le modalità digitali siano già in parte una nuova «normalità».
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