Giovani e pandemia, ecco quello che è mancato di più
Toglieteci tutto, ma non gli amici, la concreta espressione delle nostre emozioni, in primis la possibilità di un contatto fisico, sia esso una pacca sulla spalla, il cinque alto al compagno di squadra o l’abbraccio consolatorio dell’amica del cuore. E ancora, la possibilità di viaggiare - che a ben vedere significa sete di altro, di conoscenza, di incontri e ancora forse di amicizia - come pure di essere spensierati e vivi assieme alla cerchia di persone più care nelle più classiche feste private.
A voler trarre una sintesi forse parziale ma comunque puntuale di quanto ci restituiscono le risposte dei 5.000 e oltre giovani tra i 15 e i 30 anni alle domande chiuse sull’impatto della pandemia nelle loro vite, rivolte nell'ambito del questionario «Giovani e pandemia» (condotto dal GdB con la Cooperativa Sinapsi e il Gruppo Foppa), si coglie la cifra di una ferita che tutto ha fuorché i connotati della propensione all’effemiro. A riprova del fatto che quanti - laudatores temporis acti - sentenziano tanto spesso che la gioventù è priva di valori e di punti di riferimento, farebbero bene a cercare di andare un po’ più in profondità e non sovrapporre troppo facilmente gli estremi negativi che talvolta la cronaca ci riporta alla fotografia di generazioni che han molto da dire e buone ragioni per esigere di essere ascoltate.L’analisi completa e dettagliata degli aspetti in cui l’isolamento imposto dal coronavirus ha inciso maggiormente nelle vite dei giovani bresciani è proposta sull'inserto proposto con l'edizione cartacea del GdB in edicola oggi, mercoledì 12 maggio, ma per inquadrare il paradigma d’insieme che ci restituisce l’esito dei questionari, abbiamo provato a tradurre in grafica il voluminoso intreccio di numeri e percentuali. Grafici che in versione digitale proporremo nei prossimi giorni sull'edizione digitale, scorporando
Con proporzioni che variano talvolta sensibilmente in base a fasce di età, sesso, ambiti di aggregazione e attività svolta (studio o lavoro), tuttavia gli aspetti che più attengono alla naturale e piena condivisione umana più profonda - in chiave sociale, di crescita ed esperienziale - sono proprio quelli che i ragazzi rivendicano come imprescindibili e dei quali di risulta affermano di aver maggiormente patito la mancanza. L’assenza degli amici sfiora il 90% di «molto», il non poter viaggiare e il dover rinunciare al contatto fisico ha valori di poco inferiori. E tanto più significativa appare questa indicazione se la si guarda affiancandola, al contrario, al fondo classifica, alle voci che appaiono come minori emergenze: se fanalino di coda è la frequentazione di centri culturali, sociali e biblioteche (in cui pesa tuttavia l’ampia percentuale di studenti delle superiori, che forse non si sono ancora appropriati del valore dell’esperienza di conoscenza cui tali luoghi danno accesso), sesso, discoteca e shopping occupano tutti posizioni da zona retrocessione, verrebbe da dire con formula calcistica. Segno che non c’è troppo spazio per gli stereotipi di chi vuole i ragazzi come sfaccendati perdigiorno, superficiali e via dicendo. Ben prima di queste voci vengono hobby, bar e ristoranti (quali luoghi di aggregazione e socialità), la relazione coi familiari, la pratica dello sport, la frequentazione di teatri e concerti.
Casomai interroga - e dovrebbe forse interrogare anche le agenzie educative - il fatto che solo in coda a questi ambiti vengano l’ambiente scuola/università e la didattica in presenza. Il fatto che il contesto scuola non manchi quanto gli amici, se da un lato può essere un’ovvietà, dall’altro rappresenta di certo uno dei segnali che i ragazzi ci restituiscono, meritevole di essere posto al centro di un cantiere da chi guarda al futuro della formazione. I numeri e la fotografia d’insieme son qui da vedere (ai ragazzi che ci chiedono di parlare la loro lingua non si poteva che replicare in digitale).
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