Fatture false, l'affare di famiglia nella base occulta di Gussago

Sarebbe stato soprattutto un affare di famiglia. Padre, madre e il figlio 22enne, oltre alla zia materna, a comandare da Gussago un vorticoso giro di conti correnti all’estero, bonifici con cadenza settimanale e una montagna di fatture false. Per oltre mezzo miliardo di euro.
Sono 27 le persone tra città e Valtrompia raggiunte da ordinanza di custodia cautelare - 22 tra carcere e domiciliari e cinque obblighi di dimora - per un’inchiesta che ha coinvolto complessivamente 73 tra imprenditori, prestanome e faccendieri, ai quali sono stati sequestrati beni mobili e immobili per 93 milioni di euro.
Contestata a vario titolo l'associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale, riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Attraverso società di comodo e cartiere «a copertura di acquisti in nero di materiale ferroso e non ferroso e restituzione in denaro contante di quanto corrisposto dai destinari delle fatture» è la ricostruzione agli atti.
La coppia a capo del gruppo
A capo del gruppo c’era una coppia, nella vita e negli affari. Vale a dire Giuliano Rossini, 46 anni, e la moglie Silvia Fornari, di sei anni più giovane, entrambi in carcere, ritenuti «veri e propri dominus dell’associazione».
Con lui «si rapportano tutti i soggetti coinvolti nel meccanismo fraudolento, dai fornitori ai clienti finali che utilizzano le false fatture, dai gestori e amministratori di fatto delle cartiere», mentre la donna avrebbe anche avuto il compito di «gestire i trasferimenti dei bonifici ricevuti su conti esteri». E poi ci sono Emanuele Rossini, figlio della coppia, e la zia Marta Fornari, entrambi ai domicliari, «spesso protagonisti - scrive il gip in ordinanza - delle consegne del denaro ai clienti».
I soldi delle fatture per operazioni inesistenti bonificati all’estero tra Hong Kong, Romania, Croazia, Polonia, Slovacchia e Ungheria venivano riportati successivamente in Italia via terra da spalloni incaricati del trasporto di contante. Il gruppo avrebbe avuto in un casolare di campagna a Gussago quello che gli inquirenti definiscono «l’ufficio occulto», mentre tutti i presunti esponenti di spicco dell’associazione, per parlare tra loro avrebbero utilizzato utenze telefoniche criptate e spesso intestate a stranieri inconsapevoli.
La base
Dalla strada sembra solo un casolare isolato dove i quartieri residenziali di Gussago lasciano spazio alla campagna che segna il confine con la zona industriale della Stacca e Rodengo. Per chi indaga invece è «l’ufficio occulto in cui gli indagati gestivano l’attività delittuosa (...) lo stabile in cui risulta installato il router utilizzato per le connessioni riconducibili ai bonifici online eseguiti verso l’estero dai conti correnti delle società cartiere oggetto dell’indagine».
Per questo diventa da subito il baricentro dell’indagine: viene autorizzato il posizionamento di cimici per le intercettazioni ambientali e anche l’installazione di telecamere sulle strade che portano al casolare. Occhi e orecchi elettronici che in poche settimane mettono sul tavolo degli inquirenti volti e numeri di targa che si rivelano poi fondamentali per ricostruire l’attività di evasione fiscale e riciclaggio che ha portato alle misure cautelari eseguite nelle scorse ore.
«Una struttura stabile e organizzata»
Per Carabinieri e Guardia di Finanza «le immagini consentivano di identificare compiutamente gli indagati, di acquisire prova del loro coinvolgimento nell’azione criminosa e di comprendere le modalità utilizzate per realizzare l’evasione fiscale». In particolare si scopre che la vettura che viene quotidianamente parcheggiata davanti al casolare è quella di Silvia Fornari, ritenuta da chi indaga «avere un ruolo centrale nella gestione della contabilità delle società cartiere utilizzate dal sodalizio e dell’attività ricilatoria dei profitti illeciti conseguiti».
Proprio grazie a quanto visto e ascoltato a Gussago gli inquirenti ritengono di essere davanti a una «struttura stabile e organizzata» che è «luogo d’incontro degli appartenenti all’organizzazione in cui vengono concordate le strategie da adottare per l’attuazione del progetto delittuoso». Il personale della polizia giudiziaria è poi entrato nell’ufficio per piazzare i microfoni per le intercettazioni ambientali e ha notato «nuovi telefoni cellulari e schede telefoniche destinate a rimpiazzare quelle già utilizzate per evitare di essere intercettati» ma anche token per generare i codici per disporre i bonifici dai conti correnti ritenuti strumento del gruppo, ma anche «biglietti da visita di istituti di credito e di società operanti nel settore del commercio di metalli ferrosi e non ferrosi già emersi nell’ambito dell’indagine».
La contabilità
Non solo. Nel cascinale di Gussago trovati anche appunti scritti a mano con «stipendi» e «viaggi» che secondo la Guardia di Finanza rappresentano la dettagliata contabilità dei movimenti di denaro e degli spostamenti dei membri dell’organizzazione. Dagli appunti trovati è stato evidente che «gli indagati percepiscano una provvigione del 10% degli importi fatturati».
In questa come nelle altre aziende e negli uffici in cui secondo l’indagine il gruppo organizzava e gestiva l’attività sono in corso ulteriori perquisizioni con l’utilizzo di speciali cani addestrati a trovare i contanti nascosti e con scanner che individuano intercapedini e vani nascosti.
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