Silvia, la voce di chi vive nella terra di mezzo dell'Ideal Standard

In via Milano, a Brescia, esiste un mondo parallelo dove sopravvivono nel degrado decine di uomini e donne
Silvia
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In via Milano, a Brescia, esiste un mondo parallelo, una terra di mezzo dove sopravvivono decine di uomini e donne. Non è una novità. Periodicamente sentiamo di operazioni di polizia per lo sgombero delle ex aree industriali, Ideal Standard e Ideal Clima, un tempo sinonimo di ricchezza, oggi rifugio per i senzatetto. Sono i così detti invisibili, per lo più ai nostri occhi, vite che scorrono indifferenti e che noi preferiamo sfiorare appena. Abbiamo incontrato Silvia (nome di fantasia).

All’inizio sembrava un po’ scorbutica ed è lei stessa a spiegare perché: «Stando qui dentro siamo sempre un po’ nervosi. Ti pare?». Originaria della Franciacorta, vive tra gli spazi sporchi e degradati dell’ex Ideal Standard. E da come parla questa vita proprio non le va giù. «Non sono felicissima di stare qui - spiega -. Non è stata una scelta all’inizio, poi è diventata un’abitudine».

È giovane, forse trent’anni, forse meno, voce roca per le troppe sigarette e per il crack che fuma insieme ai suoi «coinquilini», e mani da vecchia. Dice di aver studiato, di essere un’assistente sociale, o almeno lo era, e di essere stata buttata fuori di casa sei anni fa. È sempre difficile, però, capire dove finisce la verità e comincia la menzogna, cui purtroppo spesso i tossicodipendenti sono portati. Ha una mamma sposata con un uomo che non è suo padre, e un fratellastro. Le colpe per la sua condizione sembrano ricadere su di loro.

«Mi hanno accusata di qualcosa che non avevo fatto e mi hanno cacciata», racconta. «Ma si sa, quando ne combini di ogni – aggiunge – ad un certo punto non ti crede più nessuno». Qualche anno fa aveva cominciato a scrivere la sua storia sui muri dell’ex fabbrica, prima che abbattessero la stanza dove dormiva. Non ricorda le parole che aveva usato, ma il senso sì. Era uno sfogo, per la sua condizione e per il mondo che la circonda. «Ho chiesto aiuto ad un sacco di gente, ma nessuno è stato in grado di fare qualcosa di concreto per me». E non c’è parete dei circa 75mila metri quadrati di spazio dell’ex area industriale di via Milano, che non sia stata colorata.

Non parla del cibo, della mensa o del dormitorio. «Avrei bisogno di una casa – spiega ancora Silvia – ma certo quelle del Comune non le danno ad una come me». La casa le servirebbe per cominciare a lavorare e imbastire una vita normale. «Anche volendo fare la barista - conclude la ragazza - come faccio? Mi vedono sporca, non sono riposata, capirebbero subito che non vivo normalmente». 

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