Crisi di mais e cereali: Brescia recupererà 7mila ettari di campi

Con la deroga al set aside tanti i terreni a riposo che si potrebbero coltivare per coprire la richiesta
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RECUPERO 7MILA ETTARI DI CAMPI
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È come se nella nostra provincia ci fossero quasi mille campi da calcio da poter seminare a mais e a cereali. No, non si sta parlando di togliere spazio al pallone ma della possibilità, richiesta e ottenuta da Coldiretti all’Unione Europea, di seminare i terreni messi a riposto nella nostra provincia.

Una deroga, quindi, al regime del set aside, adottato dall’Europa nell’ambito della politica agricola comune. Introdotto nel 1988, consisteva nel ritiro dalla produzione di una determinata parte dei terreni agrari per periodi più o meno lunghi.

A Brescia potranno così essere recuperati oltre 700 ettari di campi a riposo per una produzione aggiuntiva di mais e di cereali necessari agli allevamenti zootecnici e per ridurre la dipendenza dall’estero. «Oggi dobbiamo importare materie prime agricole - commenta Valter Giacomelli, presidente di Coldiretti Brescia - anche a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, costretti a ridurre di quasi un terzo la produzione di mais negli ultimi 10 anni, durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque. Purtroppo la politica ha lasciato campo libero a quelle industrie che hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale».

Basti pensare che nella nostra provincia nel 2008 si coltivavano oltre 50 mila ettari a mais da granella mentre oggi sono circa 35 mila ettari. D’altra parte è più di trent’anni che l’Unione Europea incentiva gli agricoltori, attraverso le varie riforme della politica agricola comunitaria, a produrre e seminare sempre di meno. Invece il Covid e la guerra russo-ucraina hanno ricordato l’importanza dell’agricoltura nel produrre derrate alimentari insostituibili per garantire la sicurezza alimentare.

I prezzi dei cereali in Italia sono più che raddoppiati rispetto ad un andamento medio, tanto è vero che il mais oggi è a 381 euro; l’orzo e il frumento a 389 euro; la crusca a 215 euro; il farinaccio a 248 e la soia a 524 euro. Ecco perché si parla di crisi della sicurezza alimentare. Con questi prezzi delle materie prime, per esempio, allevare un suino oggi costa circa 2 euro al chilo: insostenibile. Si rischia quanto già successo per i bovini da carne: gli allevatori non ristallano i suinetti.

E se non ci sono i suini, con cosa si fa il prosciutto? Questa domanda può sembrare retorica, ma dovrebbe preoccupare di più la risposta perché il nostro Paese oggi dipende per più della metà del proprio fabbisogno dalle importazioni. Quindi non c’è solo il rischio inflazione, del calo dei consumi e la stagflazione, ma una situazione complessa se non si sostengono gli agricoltori a produrre di più. «La scelta della Commissione Europea di rendere produttivi i terreni a riposo è certamente positiva - sottolinea Oscar Scalmana di Confagricoltura Brescia - perché inverte la posizione europea di produrre sempre di meno.

Certo 700 ettari non risolvono i problemi, però si sancisce il principio che il prodotto agricolo, la garanzia di un cibo ad un prezzo accessibile, è fondamentale per la stabilità di un Paese. Nella nostra provincia l’unico modo per incrementare la produttività dei campi (già ai massimi livelli nazionali, con una media di oltre 140 quintali ad ettaro per il mais) è puntare sulle new breending techniques che consentono di rispettare meglio l’ambiente e anche di ridurre i costi di coltivazione».

La Pianura Padana è uno dei territori più fertili d’Europa, ma ha una superficie limitata e sfruttata molto. Non può competere con le estensioni, per esempio, delle pianure di Ungheria, Ucraina e Francia che beneficiano di un clima ottimale che contribuisce anche a ridurre i costi di produzione ad ettaro. Le produzioni maidicole e in generale quella dei cereali da noi però sono essenziali per le filiere zootecniche, che stanno alla base delle produzioni italiane di qualità a denominazione di origine protetta che il mondo ci invidia. Ad oggi il nostro Paese è autonomo con un solo cereale ovvero il riso.

Eclatante, anche se centra poco con i cereali perché è una orticola, ma è esemplificativo, è il caso della barbabietola da zucchero. Il nostro Paese era autonomo in questa produzione, ma l’Unione Europea per garantire il libero scambio mondiale con lo zucchero di canna, ha dato contributi per eliminare questa produzione dai campi. Infatti sono almeno 15 anni che non si vede un campo coltivato a bietole nella nostra provincia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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