Economia

«Entro 7 anni l'Italia sarà autosufficiente per grano e mais»

Così Ettore Prandini, presidente Coldiretti, che ha presentato al Governo un piano: insieme allo sblocco terreni, investimenti in bacini
Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti - © www.giornaledibrescia.it
Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti - © www.giornaledibrescia.it
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Prima è stato l’aumento dei prezzi dell’energia e dei fertilizzanti; poi la guerra in Ucraina, che ha bloccato le importazioni di materie prime agricole e l’export verso la Russia; ora avanza lo spettro della siccità nel bel mezzo del periodo delle semine. Il comparto agricolo sta vivendo crisi e tensioni senza precedenti. Nei giorni scorsi dall’Unione Europea è arrivato il via libera alla semina in Italia di altri 200mila ettari di terreno. Per Brescia significa liberare tra i 6 e i 7mila ettari di aree.

«Con questi interventi straordinari può essere garantita una produzione aggiuntiva di 15 milioni di quintali tra mais per gli allevamenti, grano duro per la pasta e di tenero per il pane. Ma il nostro obiettivo è più alto. Puntiamo a recuperare fino a un milione di ettari di terreno. Possiamo farlo perché nel Sud del Paese, lungo l’Appennino ed in molte aree montane le lavorazioni del suolo agricolo sono state abbandonate». Il presidente di Coldiretti nazionale, Ettore Prandini, ha presentato, in tempi non sospetti, un piano al Governo che punta a raggiungere, in modo graduale, l’autosufficienza del Paese per quanto riguarda la filiera agroalimentare. «Il nostro Paese sconta una visione miope dell’agricoltura europea degli ultimi trent’anni. Penso all’inserimento dei vincoli per i terreni a riposo, che ci ha fatto perdere più del 10% dei terreni coltivabili, incentivando le imprese ad importare prodotti che non rispettano standard qualitativi e di tutela del lavoro. È una questione sociale prima che economica».

Crede sia possibile per il nostro Paese raggiungere l’autosufficienza agroalimentare?

«Si è possibile. Non tra un anno, ma se facciamo i giusti passi e gli investimenti necessari, nell’arco di sei/sette anni l’Italia potrebbe centrare l’obiettivo. Dopotutto i Paesi più avveduti, come la Cina, hanno messo al primo posto tra le proprie priorità economiche, accanto all’intelligenza artificiale e alla meccanica pensante, proprio la filiera agroalimentare».

Quali passi e soprattutto quali investimenti fare?

«Intanto iniziamo a sfruttare questi primi 200mila ettari di terreno. Poi investiamo nello sviluppo di bacini di accumulo destinati all’irrigazione e nella ricerca. Abbiamo presentato un piano al Governo che fa perno sui fondi del Pnrr».

Cosa prevede il piano di Coldiretti?

«Si parte dall’acqua. Oggi tratteniamo solo l’11% dell’acqua piovana, con infrastrutture necessarie potremmo arrivare tranquillamente al 50% ed irrigare i terreni triplicando le rese per superficie e combattendo il dissesto idrogeologico. Nella provincia di Brescia sono numerose le cave dismesse potenzialmente ideonee a diventare bacini di accumulo. Portare l’acqua dove oggi non c’è significa fare un grande passo in avanti verso l’autosufficienza».

Salgono i costi produttivi, scendono i margini delle imprese.

«È un tema sul quale stiamo concentrando le nostre forze. Una vittoria è stata ottenuta sul digestato: possiamo utilizzare gli scarti della produzione di biogas e biometano per fertilizzare il suolo in alternativa ai concimi chimici di sintesi di cui noi siamo netti importatori dalla Russia e Ucraina. Ma c’è anche il tema della ricerca, le opportunità offerte dalla cisgenetica che permette di dare risposte al tema dei cambiamenti climatici, attraverso piante con maggiore resistenza e più forti, non modificandone il dna».

Con il conflitto è arrivata un’altra tegola per l’export.

«La Russia per noi vale poco più di 750milioni di euro sui 52 miliardi dell’export totale. Siamo riusciti a limitare le restrizioni ai prodotti singoli che costano più di 300 euro, scongiurando l’ennesima penalizzazione dell’agroalimentare. Ora si apre il tema dei pagamenti, che non potranno più avvenire in euro o dollari». La strada resta in salita.

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