Covid, l'importanza della memoria collettiva dopo la pandemia

Tra effetto-«rallentamento», immagini vivide e vuoti, i nostri ricordi del Covid si stanno già indebolendo
Una foto scattata durante la seconda ondata di Covid - © www.giornaledibrescia.it
Una foto scattata durante la seconda ondata di Covid - © www.giornaledibrescia.it
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Cosa è accaduto alla nostra memoria dopo il Covid? Nelle situazioni di pericolo una zona del nostro cervello, l’amigdala, entra prepotentemente in gioco. Lo fa chiamando a sé le risorse di tutto il resto del cervello e costringendole a intervenire nella situazione in corso. Quando l’amigdala è in funzione, i ricordi sono archiviati con maggiori dettagli e abbondanza di quanto avviene normalmente, perché è stato attivato un sistema di memoria secondario.

Dopotutto è quello il compito della memoria: tenere conto degli avvenimenti importanti ed essere preparato se doveste ritrovarvi in una situazione simile. Il vostro cervello avrà più informazioni per aiutarvi a sopravvivere. C’è però un interessante effetto secondario: il cervello non è abituato a una densità di memoria tanto alta, così quando gli avvenimenti sono rievocati nel vostro ricordo, l’interpretazione è che l’evento dev’essere durato più a lungo. In altre parole, sembra che l’esperienza di incidenti terrificanti non avvenga in tempi rallentati, ma è quella l’impressione che risulta dal modo in cui i ricordi la interpretano.

La distorsione del tempo è qualcosa che avviene in retrospettiva, un trucco della memoria che registra la storia della nostra realtà. Pensate anche a questi ultimi due anni di pandemia e alla sensazione di pericolo al quale i nostri cervelli - volenti o meno - sono stati esposti. Io per primo spesso ho la sensazione di avere una sorta di vuoto temporale, una distorsione percettiva generata proprio dall’attivazione di tutti questi meccanismi. È stato come vivere un incidente, un trauma, ma molto (forse troppo) prolungato nel tempo.

Mi chiedo anche quanto impiegheremo a dimenticare tutto, in quanto tempo metteremo in atto un meccanismo di rimozione collettiva così come accadde con un’altra tremenda epidemia più di un secolo fa: l’influenza spagnola. In realtà, nonostante sentiamo continuamente dire, da Foscolo in poi, che è importante rispettare il culto della memoria, esiste una quantità infinita di eventi, storie e catastrofi rimosse e cancellate nella storia dell’umanità. La memoria è la modalità che ci permette di conservare la conoscenza all’interno del nostro cervello. L’apprendimento è invece ciò che ci permette di accrescere conoscenza. Per questo siamo ciò che siamo in virtù di quello che abbiamo imparato e che ricordiamo.

Parafrasando potremmo dire che siamo la somma dei nostri ricordi, ma anche ciò che non sappiamo di ricordare. Le epidemie virali continuano e continueranno a far parte della vita umana ed è sorprendente come non si apprenda a sufficienza da quelle precedenti, soprattutto nelle prime azioni per circoscrivere il contagio. Avremo imparato abbastanza da una grande epidemia come quella del Covid-19? E soprattutto, ce ne ricorderemo?

Le memorie di un evento traumatico diventano rapidamente inconsistenti per effetto di un processo di dimenticanza che è fondamentale quanto la memoria e necessario all’economia del nostro cervello. Ecco il perché a volte quando ripensiamo a questi ultimi 24 mesi molti hanno vivide delle memorie (spesso anche falsi ricordi, tipici degli eventi traumatici) e altrettanti vuoti: è il tentativo maldestro della nostra materia grigia di fare spazio e cercare di farci stare sereni… dimenticando.

Nonostante la notevole vividezza soggettiva, quindi, anche i ricordi emotivi sono soggetti a distorsione o ad una minore accessibilità, non necessariamente a una cancellazione. Se la curva dell’oblio ha lo stesso andamento per tutti gli eventi traumatici, i nostri ricordi della pandemia si stanno già indebolendo sia a livello individuale sia come collettività.

Portiamo dentro il nostro Dna migliaia di anni di evoluzione, nei quali le catastrofi e i grandi cataclismi sono purtroppo parte del viaggio. L’adattamento è la prima regola fondamentale della vita e ci ha resi resilienti plasmando i nostri meccanismi neurofisiologici in modo tale da trovare un modo di sopravvivere a (quasi) tutto; quello che però stiamo imparando oggi, a suon di errori, è che forse un po’ più di memoria potrebbe aiutarci a fare un ulteriore passo evolutivo in avanti: come individui, ma soprattutto come specie. Dietro l’angolo infatti ci aspetta la più grande sfida che l’umanità abbia mai affrontato: quella della crisi climatica. Solo uniti potremo salvarci, anche grazie alla nostra memoria collettiva.

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