Cardiologa ucraina: «Per non impazzire aiuto i profughi»

Anna lavorava all’ospedale pubblico di Kalush, nella zona occidentale. È scappata per proteggere la sua bambina
La cardiologa ucraina Anna - © www.giornaledibrescia.it
La cardiologa ucraina Anna - © www.giornaledibrescia.it
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Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio carri armati russi sono entrati in Ucraina per un’operazione militare che nel giro di poche ore ha causato bombardamenti in varie aree del Paese, compreso il piccolo scalo civile di Ivano-Frankivsk sul quale i russi hanno lanciando un missile che ha provocato una vistosa esplosione.

L’area, ai piedi dei Carpazi, nella storica regione della Galizia, si trova nell’Ucraina occidentale, dunque molto distante dal Donbass. Zona che, fino alla notte dell’invasione, gli ucraini pensavano non potesse diventare teatro di guerra.

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio Anna, cardiologa all’Ospedale pubblico di Kalush, ha capito che la sua vita stava cambiando. La certezza quando, in mattinata, è stato bombardato l’aeroporto. «Ho vissuto ore di confusione totale, paralizzata dalla paura. Cosa faccio?». Ha guardato negli occhi la sua bambina di otto anni e non ha avuto più incertezze: «Parto».

«Con mia sorella abbiamo riempito il baule dell’auto con lo stretto necessario e ci siamo messe in viaggio. Con noi, mia figlia e mio nipote. La nostra fortuna è che avevamo una destinazione certa: i nostri genitori vivono a Brescia da molti anni e ci siamo rifugiate da loro» racconta.

Il bel volto di Anna, incorniciato da lunghi capelli scuri, non lascia trasparire la sua angoscia. «Ero confusa quando ho lasciato l’Ucraina. Sono ancora confusa, combattuta tra la necessità di rimanere qui e il desiderio di tornare a casa. Mio marito è lassù, a disposizione dell’esercito. Ci sentiamo in continuazione. Oggi mi ha detto che dopo alcuni giorni tranquilli, le sirene sono tornate ad essere assordanti: hanno iniziato ad ululare alle tre del pomeriggio e non hanno più smesso - continua -. Non avrei mai voluto lasciare l’ospedale in una fase così difficile per il mio Paese, ma non potevo permettere che mia figlia conoscesse le atrocità della guerra. Gli altri medici sono rimasti, anche una collega donna che non ha figli».

La carriera

Trentenne, dopo la laurea in Medicina conseguita all’Università di Ivano-Frankivsk, cinque anni fa ha iniziato a lavorare nell’ospedale di Kalush, la cittadina in cui è nata. «Mi sarebbe piaciuto diventare chirurga, poi ho dovuto cambiare idea perché sono diventata mamma - aggiunge -. Mi appassiona la cardiologia ed anche da noi, come qui del resto, le malattie cardiovascolari sono tra le prime cause di morte insieme a quelle oncologiche».

Spiega come funziona il Sistema sanitario ucraino, un misto di pubblico e privato come in Italia, e quando le chiediamo se anche da loro ci sono liste d’attesa per una visita specialistica, sul suo volto si accende la luce di un ampio sorriso: «Per nulla. Quando in Ucraina un paziente ha bisogno di uno specialista, si presenta in ospedale ed inizia ad urlare. E non se ne va se non dopo essere stato visitato».

Parliamo di medicina e di pazienti, ma il pensiero fisso è alla guerra.

«Sono frastornata. I russi? Beh, seguono Putin e non è la prima volta che invade altre nazioni. Non saprei cosa altro aggiungere, si commenta da sè. Per fortuna che c’è Zelenskyi, un presidente piccolo ma molto forte». Parla con noi senza perdere di vista lo smartphone. «Lo guardo ogni momento per sapere in tempo reale quello che accade in Ucraina e, più lo osservo, più mi divido a metà: una Anna vorrebbe partire subito, l’altra sa che deve rimanere qui».

Difficile pensare al futuro quando il presente è così devastante. In questi giorni lei aiuta la Caritas e la cooperativa Kemay che ospitano i profughi di guerra. «Essere impegnata mi impedisce di impazzire. Mi conforta ascoltare i miei connazionali, è come se ascoltassi me stessa: tutti loro, come me, vogliono tornare al più presto in Ucraina. Tutti, come me, sono rimasti lassù e si immaginano la fatica di vivere e lavorare come se tutto fosse come prima in una realtà che non sarà mai più come prima».

La bambina di Anna non va a scuola. Quando può, segue la didattica a distanza con le sue insegnanti in Ucraina. «Non frequenta perché sto aspettando. Non so cosa, ma sto aspettando». Sul suo volto la paura che la vita a Brescia possa diventare normale, mentre invece è eccezionale.

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