Carcere, la garante: «L’unica arma è il dialogo, servono mediatori»

Luisa Ravagnani concorda con la polizia penitenziaria sui problemi di Canton Mombello ma propone diverse soluzioni
Dentro Canton Mombello - © www.giornaledibrescia.it
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«Gli agenti di Polizia Penitenziaria hanno ragione su tutta la linea. Questa volta sono con loro. Non si può scaricare solo sulle loro spalle la gestione dell’intera popolazione carceraria. Hanno il mio appoggio, ma per favore non parlatemi di taser».

L’arma che Luisa Ravagnani, garante dei diritti dei detenuti, impugnerebbe per risolvere le tensioni che in carcere si accendono giorno sì e giorno anche è il dialogo, la comprensione. «Se è vero che ci sono detenuti che non sono in grado di rispettare le regole e che andrebbero trasferiti in altri istituti, se non in Rems o in comunità, è altrettanto vero che oggi, più che di un problema strutturale parlerei di limiti culturali. E in quanto tali - ci ha detto la garante dei detenuti - risolvibili».

La popolazione carceraria di Canton Mombello negli ultimi anni è radicalmente cambiata: la quota di stranieri è quasi triplicata. «Non tutti capiscono la lingua, tanti possono essere sospettosi - ha proseguito -: in un clima come questo è facile cadere nello scontro. Non si può credere che una persona in grado di dire quattro parole in italiano capisca tutto quello che le si dice. Bisogna metterla nelle condizioni di intendere e di dialogare. Anche per il bene e nell’interesse di chi in carcere ci lavora».

Ravagnani pensa a mediatori culturali, presenti ventiquattro ore su ventiquattro o a call center sempre disponibili. «Oggi come oggi, ma non in ogni istante, ce ne sono solo due. Il mediatore che si occupa dei detenuti di origine nordafricana è da solo a fronteggiare le esigenze di circa 120 persone. È evidente che non possa aiutarle. Brescia non è messa peggio di altre realtà in Italia - ci ha spiegato la garante - a riprova del fatto che gli organici vanno aggiornati alla nuova realtà. Anche nel resto d’Europa ci sono problemi di lingua e quindi di comprensione e dialogo. C’è chi ha cercato di rimediare alla questione attivando un numero verde: quando il detenuto ha bisogno, l’agente chiama e la comprensione avviene via cavo. Personalmente preferirei una presenza qualificata e costante, credo che questa possa comunque essere una soluzione».  

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