Brescia, estorsioni di stampo mafioso: in 23 davanti al giudice

Al via l’udienza preliminare a carico del titolare della pizzeria «Tre Monelli». Massimo Sorrentino
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Dall’estorsione con metodo mafioso, alla ricettazione di una carrozzina per disabili. Dalla violenza sessuale di gruppo ai danni di una giovane donna, alla spendita di banconote false. Dalla detenzione di un arsenale illegale in pizzeria, all’incendio di un’auto. Dalla corruzione al traffico di ingenti quantità di cocaina. Dall’accesso abusivo a sistemi informatici alla rivelazione di segreti d’ufficio.

Sono in tutto 33 i capi di imputazione contestati a vario titolo a Massimo Sorrentino, 47enne titolare della pizzeria «I 3 monelli» di via Don Vender in città e ai suoi 22 complici. I 23 imputati, tra i quali un agente di Polizia, ieri si sono trovati per la prima volta in aula, davanti al gup Riccardo Moreschi. L’udienza è durata il tempo servito al giudice per prendere atto della questione formulata dall’avvocato Luigi Stelio Becheri sul legittimo impedimento del suo assistito Antonio Alvaro e per ricevere le questioni preliminari formulate dal difensore del principale imputato.

L’avvocato Gianbattista Scalvi, legale di Massimo Sorrentino, ha chiesto la separazione dei processi ritenendo un fuor d’opera la riunione in un unico fascicolo di reati tra loro scollegati e la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio. Il gup ha aggiornato il processo a lunedì prossimo. In aula gli imputati ci arrivano sei mesi dopo la scoperta, fatta dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Brescia, di diverse armi nella pizzeria di Sorrentino. Pistole a tamburo, fucili a canne mozze. Una dotazione che scotta e che porta il 47enne e altri complici in carcere. Attualmente per quell’operazione in cella, oltre al titolare de «I 3 monelli» ci sono altre quattro persone.

Più risalenti nel tempo sono le altre accuse. È dell’agosto di quattro anni fa la tentata estorsione che Sorrentino, secondo l’accusa, mise in atto ai danni di Francesco Serramondi, il pizzaiolo ucciso poco prima di Ferragosto di quell’anno dal rivale in affari. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Sorrentino, insieme a Tony Garofalo, aveva chiesto 15mila euro a Frank per ripulire il piazzale sul quale si affacciava la sua pizzeria da asporto dalle frequentazioni sgradite. Per il pubblico ministero l’aveva fatto con il metodo mafioso. Lo stesso impiegato l’anno successivo. Nell’agosto del 2016, Sorrentino e Tony Garofalo, con il concorso di Marco Garofalo, grazie anche a continui riferimenti a possibili ritorsioni da parte di soggetti affiliati alla ’ndrangheta, avrebbero chiesto 30mila euro ad un quarantenne che da poco aveva acquistato all’asta l’abitazione di un commercialista esecutato in cambio della loro protezione.

Anche in questo, come nel precedente caso, l’estorsione non va in porto per la pronta denuncia della vittima. Massimo Sorrentino, questa volta insieme a Massimo Begnozzi, tra il marzo e il luglio del 2017 ci riprova: prima dando fuoco al gazebo di un bar a due passi dal tribunale, poi intimando alla proprietaria di vendere il locale. Anche in questo caso senza successo.

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