Bonomi: «Da piccolo ero chiamato il "Signor perché"»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo.
L’emozione di leggere i risultati del lavoro di una vita pubblicati sui più prestigiosi quotidiani internazionali e quelle parole pronunciate sempre al plurale, «ce l’abbiamo fatta». Germano Bonomi, orgoglioso valsabbino, è uno dei protagonisti del rivoluzionario esperimento eseguito al Cern di Ginevra che ha portato a scoprire l’effetto della forza gravitazionale sull’antimateria.
Come è nata la sua passione per la fisica?
Penso che sia nata con me. Da piccolo mi chiamavano «Signor perché», facevo mille domande e volevo capire tutto. Credo che la curiosità di comprendere il mondo che ci circonda sia stata la luce che ha guidato il mio percorso sin dai primi anni di scuola. A dieci anni dichiarai ai miei genitori che avrei fatto il fisico nucleare. Non ricordo le loro espressioni, ma immagino che abbiano pensato ad un colpo di sole. In effetti non sapevo certamente nemmeno io cosa potesse significare «fisica nucleare», ma era certamente un segnale del fatto che ho sempre amato la scienza in generale e la fisica in particolare. Poi la passione si è trasformata nella mia professione.
Dalla Valsabbia (provincia bresciana «profonda») al Cern di Ginevra.
Il mio percorso «scientifico» è iniziato al liceo Enrico Fermi di Salò. Poi a Pavia la laurea e anche il dottorato di ricerca in fisica trascorrendo complessivamente quasi due anni nel più grande laboratorio di fisica delle particelle degli Stati Uniti, il Fermilab (che – coincidenza – porta anch’esso il nome di Enrico Fermi!). Dopo qualche anno all’Università di Brescia ho potuto vincere una borsa di ricerca al Cern dove, con la mia famiglia (ero già sposato con due bimbi) mi sono trasferito per due anni. Sono quindi rientrato all’Università di Brescia come ricercatore, continuando le mie ricerche nel campo della fisica nucleare e dell’antimateria. Oggi sono Professore Ordinario di Fisica sperimentale.
Le emozioni provate entrando in grandi laboratori quali il Fermilab e il Cern?
Ricordo ancora la gioia quando il prof. Sergio Ratti a cui avevo chiesto la tesi di laurea mi disse che avrei dovuto passare 4 mesi negli Stati Uniti, al Fermilab per poter completare il lavoro di analisi necessario per la tesi. Quando arrivai, l’emozione era incredibile. Mi sentivo un privilegiato, avevo l’opportunità di fare ricerca dove l’avevano fatta e ancora la stavano facendo dei premi Nobel. Un giorno incontrai nella mensa del laboratorio Leon Lederman che stava ordinando un hamburger…. Pensai tra me e me: anche i Premi Nobel mangiano hamburger! Ero così emozionato che non sono riuscito a chiedergli nulla. Al Cern ci sono arrivato qualche anno dopo e quindi ho vissuto l’esperienza con più consapevolezza.
Cosa pensa dei movimenti antiscientifici?
Qui devo essere sincero vado un po’ controcorrente. Certamente ci sono, ma credo che vadano inseriti in un fenomeno più generale, che interessa moltissimi campi della nostra società e che si esplicita in una opposizione «a prescindere» a tutto quello che è la posizione maggioritaria. I social media, e in una certa misura anche i mezzi di comunicazione tradizionali, sono poi diventati i loro megafoni. Credo però che percentualmente le persone con posizioni «antiscientifiche» siano davvero poche. L’unico modo di contrapporsi alle loro considerazioni è spiegare scientificamente quello che sappiamo e che non sappiamo della natura, senza cadere nella tentazione di un confronto acceso e rissoso.
Come si colloca Brescia nel contesto scientifico nazionale e antinazionale?
Brescia ha una Università che è relativamente giovane, soprattutto se confrontata con altri atenei italiani. Tuttavia, in pochi decenni è cresciuta moltissimo e oggi rappresenta una bellissima realtà per la città. Nata per soddisfare le esigenze del territorio, penso che ora sia in grado anche di ispirarlo e, in un certo senso, di guidarlo nel cammino verso le sfide future.
Qui il link all'intervista sull'Eco di Bergamo.
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