Antonio Gozzini uccise la moglie per un «delirio di gelosia»
Per il pubblico ministero era da condannare all'ergastolo perché aveva «agito per vendetta». Per la difesa, invece, l'imputato era da assolvere per incapacità di intendere e volere. In mezzo a questi due estremi, la tesi, analoga, del consulente della Procura e del perito di parte, che parlano di «delirio di gelosia».
È sulla scorta di questi pareri che la Corte d'assiste di Brescia, presieduta da Roberto Spanò, ha prosciolto dall'accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione Antonio Gozzini, docente in pensione di 80 anni che un anno fa, in un appartamento nella zona nord di Brescia, uccise la moglie di 62 anni Cristina Maioli, insegnante di scuola superiore. Dopo due ore di Camera di Consiglio i giudici hanno convenuto che l'anziano «ha un totale vizio di mente».
Il delitto un anno fa all'inizio di ottobre. L'uomo tramortì la vittima con tre colpi di martello alla testa, mentre dormiva; poi la accoltellò alla gola e, dopo averla vegliata per ore, provò anche a suicidarsi.
«Non c'era un motivo particolare per cui ho deciso di uccidere mia moglie. So solo che stavo malissimo: in depressione possono succedere queste cose», aveva detto l'uomo nel corso dell'interrogatorio in cui confessò l'omicidio.
La depressione aveva accompagnato per anni la vita di Gozzini che, stando alle indagini psichiatriche effettuate durante la detenzione in carcere, negli ultimi tempi aveva manifestato forte gelosia nei confronti della moglie.
L'anziano era convinto di essere stato tradito, cosa mai verificata; una «vero e proprio delirio di gelosia», scrive il consulente della Procura nella relazione in cui sosteneva che Gozzini sarebbe stato in grado di partecipare al processo, ma che al momento dell'omicidio era affetto da un disturbo delirante «tale da escludere totalmente la capacità di intendere e volere».
Per il pm Claudia Passalacqua che ha già annunciato ricorso in appello, l'80enne ha compiuto l'omicidio «per vendetta perché la moglie voleva farlo ricoverare in ospedale per la sua depressione. È pericoloso far passare il messaggio che in quel momento non era capace di intendere e volere perché geloso», ha detto in aula il magistrato.
Con il proscioglimento la Corte d'Assise ha disposto il trasferimento dell'uomo, attualmente in carcere, in una Rems, la residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza.
«Siamo soddisfatti perché la sentenza esprime quanto emerso in dibattimento dove, caso più unico che raro, sia il nostro consulente che quello della Procura ha stabilito l'incapacità di intendere e volere di Gozzini», ha commentato l'avvocato Jacopo Barzellotti, legale dell'80enne, che non ha mai partecipato alle udienze del processo.
Quella di Brescia è una sentenza destinata a far discutere come quella pronunciata lo scorso anno dalla Corte d'assise di appello di Bologna, che ridusse da 30 a 16 anni la pena per Michele Castaldo per l'omicidio di Olga Matei, legata a lui da una relazione di poche settimane. Per i giudici una «soverchiante tempesta emotiva e passionale», determinata dalla gelosia, contribuì a mitigare la responsabilità del femminicidio.
«Ci lascia esterrefatte», commenta la presidente della Rete D.i.Re Antonella Veltri, che a proposito della sentenza di Brescia parla di «pregiudizi sessisti e di una visione patriarcale dei ruoli di genere, per cui il marito-padrone può "punire" la moglie, nel sistema giudiziario italiano». Promette di approfondire la decisione dei giudici bresciani nella Commissione Femminicidio la senatrice Pd Valeria Valente, mentre il senatore Pd Mauro Laus «inorridisce da uomo».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia